La sua Svezia è fuori dai giochi, ma è sempre Supremacy

Avrebbe voluto che questo fosse il suo Europeo, lui che di gol ne ha sempre fatti, qualunque maglia indossasse, qualunque palcoscenico calcasse. Avrebbe voluto zittire chi gli rimprovera di essere poco decisivo a livello internazionale, di essere un campione incompleto, che non si è affermato in tutte le latitudini. Eppure, Ibra si è dovuto rassegnare a una resa prematura, dicendo addio al suo sogno e a quello di tutta la Svezia.

Ma il ruolo di attore protagonista ce l’ha nel sangue, probabilmente. C’è un qualche fluido potente che gli scorre nelle vene, qualcosa di fluorescente, che in ogni occasione gli permette di mettersi in evidenza, di lasciare la propria firma. Ibra non è una comparsa, nè un comprimario. Ibra si sente un numero 1, una specie di quegli omini tuttofare, che somigliano tanto ai supereroi della favole. Sa di valere, sa di essere speciale.

Infatti, in un Europeo piuttosto anonimo per la sua Svezia, Ibra non è passato comunque inosservato. Il gol realizzato ieri contro la Francia non è di certo di quelli che si segnano nei campetti di provincia. Forse uno dei più belli della sua carriera. Ma, come se non bastasse, in questi giorni ha confermato la sua indole polemica durante un litigio in allenamento con Mellberg e con le parolacce rivolte al portiere dell’Inghilterra. In mezzo a tutto questo, il suo “mal di pancia” riesploso quando Thiago Silva veniva dato per sicuro partente, perchè si sa, Ibra si sente un vincente, e non accetterebbe mai di giocare per una squadra che non punta agli orizzonti più sconfinati.

Tutto questo è la dimostrazione di una sorta di “Ibra supremacy”, del suo potere di far convergere intorno a sè tutte le attenzioni che di norma dovrebbero essere rivolte ad altri. E non è affatto un male. In fondo, di questa Svezia spenta, deludente e rinunciataria, l’unico a salvarsi è proprio lui.

 

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