C’è chi ha un 10 e chi gioca in 10

I numeri nel calcio, come nella vita, hanno un peso specifico non indifferente. A scuola se prendi 10 sei stato perfetto: compito senza sbavature, preciso, pulito. Sul prato verde, dall’oratorio alla Serie A, se indossi quel numero sei speciale. Giocatore di caratura diversa, trascina la squadra con poche parole e tante giocate belle, ma allo stesso tempo utili, mai fini a se stesse. Assist al bacio e gol spettacolari. La squadra è lui a tenerla per mano. Quando non c’è o è in giornata storta le cose si mettono male.

Ha un numero di maglia diverso, ma Hernanes, lo abbiamo visto ieri con la Lazio, è proprio quel 10 che calza a pennello. Sposta gli equilibri, detta i tempi, decide e fa sognare. Doppi passi, tiri da fuori area, reti e passaggi illuminanti. Mentre a Roma si godono il loro fenomeno che, pur senza giocare nella classica posizione da trequartista, dimostra di avere i colpi per poter pretendere quel numero, a Milano si rammaricano per l’involuzione di chi quel numero non ha avuto remore nel chiederlo ma proprio non riesce a sfruttarlo.

Kevin Prince Boateng si sente leader di questo fragilissimo Milan, eppure sul campo si nasconde come un qualsiasi giocatore spaventato dalla situazione che si sta creando. Il ghanese, ancora inspiegabilmente fuori forma, condiziona pesantemente il modo di giocare dei rossoneri che provando a sfondare per vie centrali non trovano spazio per dare il via ad azioni pericolose. Con lui il campo la manovra si appiattisce, diventa prevedibile e senza logica. Con lui out e Emanuelson in campo il gioco si allarga e la manovra diventa più fluida. Semplice e disarmante.

Attualmente tra il top player della Lazio e quello del Milan c’è una voragine grande da far paura. Ora come ora, giocare con Boa significa regalare un uomo agli avversari: ieri loro avevano un 10, noi per un tempo abbiamo giocato in 10. Un problema in più.

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