Milanello: Seedorf ci ha provato, ma è il preludio all’addio. Appunti di un ricco sabato da interpretare

Ci sono due tipi di allenatore: quello che si limita a fare il suo, a portare a compimento il lavoro che gli viene assegnato dando la minima identità necessaria al gruppo e quello che parla per filosofia, che si impone per carisma ed ego importante, a volte fin troppo smisurato. Tra i secondi, come non citare Antonio Conte e Clarence Seedorf?

Ma la differenza è chiara, netta e non dipende da loro. Conte, arrivato alla Juve da grande condottiero in cerca di gloria, ha avuto tutta la libertà possibile ed immaginabile per impostare il suo timone, modificarlo in corsa, ergersi a vero manager di un gruppo, di un club, anche di una società (quasi) sempre un passo indietro rispetto al proprio tecnico.

E Seedorf? Conosciamo la differenza, conosciamo l’ambiente Milan e sappiamo che essere tecnici rossoneri dell’era Berlusconi non ha pari in nessun altro club di calcio. Per questo l’incontro voluto dal tecnico con i giornalisti al termine della conferenza stampa di oggi sa ancor più di addio. Ha sempre fatto così, in ogni sua esperienza: volle un saluto ai media in via Turati nell’estate 2012, volle una conferenza di chiusura al termine dell’esperienza al Botafogo, oggi ha voluto un incontro più informale, in un ambiente ostile (a torto o a ragione) ma mai rinunciando alla sua cifra e al suo stile.

Clarence è un predicatore e non è una novità. È un personaggio che spesso vorrebbe consigliare e finisce, invece, per catechizzare. Forse per “colpa” di una cultura diversa, di una lingua italiana parlata fluentemente ma forse intesa un po’ meno, per un modus operandi particolare e spesso poco accettato. Diciamo che, se fa fatica con i giornalisti, capiamo un po’ di più i presunti problemi con la fronda italiana più esperta.

Resta il fatto che oggi l’olandese ha deciso di congedarsi lasciando, o cercando di lasciare, la sua immagine migliore e permettendoci di giungere a due diverse conclusioni. Primo: il tentativo di intraprendere un confronto alla pari resta sempre lontano, al netto dei tentativi dei colleghi Longoni (Telelombardia), Bocci (Gazzetta) e Fedele (CorSport). Secondo: a Clarence serve di base molta esperienza, dentro e fuori dal campo. È e, per ora, resta un comunicatore “monco”, grande in potenza, ma ancora poco in pratica.

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