The Day After

Nella angosciosa caduta nel vuoto che sono stati i secondi 45 minuti di Lazio-Milan, è capitato perfino di sorridere. Quando l’impietosa regia ha inquadrato Adriano Galliani in tribuna all’Olimpico, 70 anni e una boriola rossonera a proteggere l’iconica “pelata”. Compagna deluxe a destra, il mitologico Gigi Marzullo a sinistra. Proprio lui, l’uomo delle metafisiche domande della notte. Ci pensate? “Signor Galliani, si faccia una domanda e si dia una risposta”. Pronunciata lì, nel gelo non solo climatico della tribuna, la marzullata sarebbe caduta nel vuoto insieme al Milan.

Noi tutti, milanisti, giornalisti, calciofili navigati e d’accatto, la domanda invece ce la facciamo, e pure in battuta: “Come se ne esce?“. Ed è la risposta che manca. Questo è il dramma vero, che prende alla gola molto più dell’ignorante braccio di Philippe Mexes. Non si vede la via d’uscita, e finché non la vedessimo noi, poveri rossoneri aggrappati fuori dalla cancellata di Milanello, amen. Il problema enorme, apparentemente irrisolvibile nel momento, é che non la vede nemmeno la società, ridottasi alla navigazione a vista, a un vivere alla giornata che, interpretato da gente debole o inadatta (allenatore e gran parte dei giocatori, a scanso di equivoci), sta causando lo sfacelo ormai evidente agli occhi di tutti. Nel deliquio dall’ennesima sconfitta inconcepibile nei modi, nell’atteggiamento, i più invocano il repulisti totale, via Pippo, via la fascia di capitano al pallidissimo Montolivo, via questo e quell’altro fino all’evergreen “mettete in campo i ragazzini della Primavera”.

Via lo stesso Galliani, l’uomo che, per competenze e gerarchie, dovrebbe fare scattare il Terrore robespierriano in casa rossonera ghigliottinando tutte le altre teste e magari anche la propria, rimasta invece saldamente montata al collo 16 mesi fa, quando l’entrata a gamba tesa della proprietà – rappresentata da Barbara – non ha portato alla destituzione del Condor, che ha ripreso poi il volo ad alta quota in Via Aldo Rossi.

Amministratori delegati battono direttori tecnici 2 a 0: ed è lì, forse o anche senza forse, che si è verificato il peccato originale, quello dal quale – sempre tenendo sullo sfondo il rubinetto chiuso dei soldi – prende il via l’inenarrabile pochezza del momento, l’unica oscena certezza prodotta da questo inedito, deleterio, perfino odioso vuoto di potere, di denaro, di idee, di progetto, di valori, di tutto. Più di 30 anni fa, anno 1983 (guarda caso, il Milan era in B) uscì un film che fece epoca, “The Day After”, si era in piena guerra fredda e la pellicola prefigurava il nulla del giorno dopo, lo scenario lunare e senza vita dopo l’apocalisse della guerra nucleare. La guerra fredda, al Milan, è in corso da tempo, e senza arrivare alle atomiche, l’azzeramento del pianeta rossonero è già in stato avanzato. Il giorno dopo l’ennesima bomba dell’Olimpico, la desolazione è superata dalla frustrazione, dall’impotenza di non vedere la luce in fondo al tunnel, di non conoscere una risposta o una soluzione che la stragrande maggioranza rossonera, dotata di memoria e riconoscenza, sarebbe serenamente disposta ad aspettare in termini di tempo anche non piccoli.

Basterebbe avere un nuovo e realistico piano, spiegarlo, senza paura, chiedendo pazienza, dando in cambio passi avanti, anche piccoli. E invece, in questa penosa empasse chiara anche agli allocchi, ecco i proclami, gli slogan, le promesse, i “pagherò”. Il presidente Berlusconi, che tra qualche venerdì terminerà le visite pastorali a Milanello insieme allo sconto della pena a Cesano Boscone, recuperi uno scampolo di testa e cuore e pensi che nella desertificazione del Milan sta finendo anche il tesoro più prezioso, vale a dire l’affetto e il sostegno (anche economico: chi domani, dopodomani, andrà a comprare una maglietta, un biglietto?) dei tifosi. E ricordi che nessuno è pronto a sborsare centinaia di milioni per regalarsi una scatola vuota. Forza presidente, bisogna fare qualcosa. Subito. E non è solo fare fuori un tecnico tra l’altro autoinventato per risparmiare e avere mano libera su mercati sempre più micragnosi. Le riforme qui le può fare. Ora. Non servono Nazareni. Perché anche in “The Day After”, a un certo punto, si ricominciava.

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