Sarà un brutto weekend per Berlusconi“: #GreatestDerby vol.2

Nuovo appuntamento con Sympathy for the Devil: Milan, storie e rock and roll, uno spazio a cavallo tra passato, presente e futuro al ritmo di un brano che evoca più di una suggestione sull’argomento proposto.

ateleyAttila flagello degli “infami”
Milan-Inter 2-1, 28 ottobre 1984

I ‘mericani, negli anni ’70, inventarono i “revenge movie”, generone cinematografico sul tema della vendetta da una violenza subìta, quasi sempre da una graziosa e indifesa figliola. Ora, qui di violenza fisica (Dio ce ne scampi) non si parla, ma di violenza moralsportiva sì. Sei anni di digiuno nei derbies di campionato, un paio trascorsi in Serie B, il tuo capitano prima e il tuo allenatore poi che attraversano il confine allora minato perché, sai, “io in B non ci sto”, “io con Farina non ci sto”. “Castagner e Collovati: dio fa gli infami e poi li accoppia”, penzolava nel sole già basso uno striscione dall’area Fossa-Brigate. Quando l’unno dai capelli lunghi Hateley schiantò il permanentato soldato di ventura Collovati, Zenga, Castagner, i Boys che cantavano “Serie B”, Prisco, l’Inter, tutti in una volta, tutti con quello che ancora oggi è “il” colpo di testa (e la corrispondente immagine, fuori categoria, è l’icona versione milanista di 107 anni di derby), la sensazione ancora così terribilmente viva e adrenalinica dopo 30 anni fu quella di avere assistito dal vivo al più grande “revenge movie” di sempre, vere pellicole comprese.

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milan inter 3-0 gazzetta lombardaC’è Giovanni e Giovanni
Milan-Inter 3-0, 15 novembre 1964

Non importa chi sei veramente, cosa sai fare, quanto è il tuo talento e del perché, forse, non hai la possibilità di esprimerlo pienamente: laggente dopo un po’ ti affibbia un’etichetta, e una volta attaccata lì rimane per sempre, altro che tatuaggi. Giovanni Lodetti, fin dai suoi esordi, è stato catalogato nella categoria gregari, di qualità finché vuoi, ma gregari, una vita da mediano e via stereotipando sui polmoni, la generosità, i (presunti) limiti tecnici. E l’avesse pensato solo il popolone: questa era anche la colonna sonora dei giornali, che manco il giorno in cui praticamente da solo stese l’Inter freschissima campione del mondo gli regalarono il titolone, il peana. Doppietta – prime due reti – in un tonitruante 3-0, cancellato Suarez, solito servizio deluxe per Rivera. “E il lunedì, me ricordi amò adess – ha commentato ancora recentemente il Giuann di Caselle Lurani – apro il giornale e vedo la pagella: Rivera 8, l’artefice era stato lui. Ma mi sù no”. Dopo mezzo secolo vale niente, però un remake della pagella – come si fa di un film – si può scrivere: Lodetti 10, gol, piedi, cervello, anima e cuore rossonero.

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Cassandra Milly
Inter-Milan 0-6, 11 maggio 2001

Il 6-0 è pieno di piccole grandi storie, esattamente come è pieno di gol, tutti fatti dalla stessa squadra. Davvero, è una hit parade nell’hit parade: troppe cose dentro quei 90 minuti di piena, e prima di questi, e dopo. Giunti, Comandini, il cross impossibile di Serginho sul quarto gol (primo personale del sig. Shevchenko), la fuga in garage dell’avvocato Prisco, la gelatissima vendetta del Cesarone Maldini 27 anni dopo un 1-5 beccato da giovane tecnico rossonero. Ma il top dei top rimarrà sempre il vaticinio prepartita di lei, Milly Moratti, l’ex ecofirstlady nerazzurra. Si giocò di venerdì 11 maggio, domenica 13 poi tutti alle urne per le Politiche: “Tra derby ed elezioni sarà un brutto weekend per Berlusconi”, esclamò in rima baciata Milly la Rosso-Verde, la Sciura che veniva a San Siro in bici. Finito di contare le reti, il Pres contò i voti, riconquistando la maggioranza parlamentare e quindi il governo. Also spracht Zarathustra.

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Ronaldo: fischietta che la palla passa
Inter-Milan 2-1, 11 marzo 2007

Massimo Moratti di soldi per l’Inter ne ha spesi parecchi e buttati ancora di più. Negli spiccioli di questa seconda categoria nella colonna “dare”, si ricordano i fischiettini tipo “arbitri di Giochi Senza Frontiere” che il noto Football Club fornì a tutti i suoi adepti ai cancelli del derby di ritorno 2007, che contava nothing per la classifica (i nerazzurri volavano alti sopra il deserto post-calciopolista), ma era da microonde per il ritorno a San Siro – in rossonero – di Ronaldo il Fenomeno, traditore della patria bislerona anche se in mezzo c’erano stati 4 anni e mezzo al Real Madrid. Ciccio Ronie e il suo salvagentino addominale si muovevano (poco) per il campo, arrivava la palla e alè, fiii, fiii, fiiii. Al minuto 40, il salvagentino di Ronaldo riceve un po’ fuori dal vertice destro dell’area, palla sul destro, poi sul sinistro. Fiiii, fiiii, fiiii….. ga, che gol. Nella ripresa, Cruz, Ibra, i soliti psicodrammi di Dida (vedi alla voce petardo) e i primi lampi di Bonera consegneranno comunque la partita all’Inter: in tribuna, il sollevato Moratti si concederà anche un gesto dell’ombrello (non aveva il fischietto) debitamente ripreso e tramandato ai posteri. Ma quella rasoiata, quei secondi di interruzione della sifolada presidenziale (ovviamente venduta come iniziativa della Nord), Ronie con le manone sulle orecchie e un intervallo pieno di gente che non sapeva dove mettere il fischietto, nel codice del tifoso milanista valgono una vittoria.

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derbyL’autocontrappasso del Pepp Meazza
Ambrosiana-Milano 2-2, 9 febbraio 1941

La foto qui abbinata (cliccate, cliccate) dice tutto. Ritrae al centro il Giuseppe (Pepp) Meazza. L’espressione schifata, le braccia conserte da scioperante mentre si rivolge a Demaria, suo successore in qualità di capitano dell’Inter. Eh già, perchè le strisce nerogrigie della maglia del Pepp sono quelle della maglia del Milan, anzi, pardon, del Milano (conato), che stava per affrontare all’Arena i nemici allora più ricchi, che in un gesto “di generosità, in nome dello sport cittadino” (così i gerarcazzi milanesi di allora), mollarono gratis al Diavolo l’ex idolo massimo fermato da un problema circolatorio al piede, ormai vecchio (30 anni), quasi bolso, pressoché zoppo. Al parametro zero Meazza il Milan ha sempre fatto schifo, anche durante, e non si peritava di raccontare – poi – che si vergognava di avere indossato quel nerogrigio lì. Ma forse nel secondo tempo di quella domenica di guerra, gli venne in mente che nel basso dei parenti poveri l’aveva gettato la sua Beneamata, illuminata per lustri dalle sue gesta di fuoriclasse e poi ingrata, vogliosa di liberarsi del costoso monumento ormai buono solo per i piccioni. E magicamente, da 0-2, il lacero Milano agguantò il 2-2, con pareggio a 4 giri dal termine firmato dal Pepp. Una nemesi perfetta, l’autopunizione che si è meritata tutta.

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Due legnate per una Stella
Inter-Milan 2-2, 18 marzo 1979

Nella sua vita, e in quella domenica di quasi-primavera ancora mestruata, Enrico Albertosi ha parato di tutto e di più. Ma nell’occasione, dopo avere preso più tiri dell’Inter che gocce di pioggia (compreso un rigore di Spillo Altobelli, respinto con sensazionale mano di richiamo) in un derby che valeva almeno due delle cinque punte della Stella, Ricky il signore in giallo compì l’intervento più bello al 90′: difficilissima e rischiosa bloccata su Walter De Vecchi, che galoppava impazzito sulla fanghiglia sansiresca dopo avere bucato Bordon per la seconda volta negli ultimi 10 minuti e avere consentito allo spompo e incerottato Milan di unghiare un incredibile 2-2, congelatore di speranze altrui e spinta per l’ultima salita, poi gloriosamente percorsa. “Albertosi para, De Vecchi spara”, titolò un esultante “Forza Milan”: per il diligente mediano Walter, che con fantasia al ribasso veniva chiamato “l’Avvocato del Diavolo” per via dei suoi studi in legge, due lecche da scudetto (e quale scudetto) e un’esultanza che bastano e avanzano per dare senso a una più che onesta carriera.

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Mai vinto in B
Inter-Milan 1-2, 2 luglio 1983

È vanto dei tifosi dell’Inter non avere mai frequentato i locali della Serie B, e fanno bene a ricordarlo così spesso. Anche perché, magari, nell’eventualità sarebbero andati incontro a qualche antipatico frontale. Questo è quanto affermò il derby del Mundialito 1983, chiusura degna di un torneo rimasto “cult” messa in scena davanti a qualcosa come 85mila persone. Faceva caldo, tra gente e afa non si respirava e il Milan di Serie B – dominata, ma pur sempre Serie B – consegnò un ideale premio fedeltà ai suoi parrocchiani schiantando la concorrenza grazie a uno che, virtualmente, stava già vestendo la casacca nerazzurra per fine prestito, Aldo Serena. Aldone fu l’autore delle due reti (da cineteca la seconda, una delle più esaltanti in carriera per bocca del diretto interessato) con le quali il Diavolo neopromosso, lo snobbato, sfottuto, scintillante “Milan di Serie B” batté le croste all’Inter, arrivata alla squisitezza di esautorare l’allenatore Rino Marchesi nella vigilia del match. Per inciso, fu l’unico derby tra campionati, Coppa Italia e Mundialiti assortiti vinto dal Milan nel lunghissimo e oscuro tunnel scavato tra la Stella e Hateley. Tra tanti incubi, almeno un sogno bello in una bellissima notte d’estate.

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“Per favore, non fateci più gol”
Milan-Inter 2-0, 24 aprile 1988

Legge non scritta del derby: spesso, se non addirittura sempre, chi si presenta sullo scalino più basso si prende tutto o comunque fa risultato. Nella primavera ’88, però, erano in vigore le leggi speciali del Milan di Sacchi. Il nitrato di meccanismi ormai stracollaudati in mesi di allenamenti matti e disperatissimi e la glicerina della grande rincorsa al Napoli capolista produssero a quattro giornate dalla fine un’esplosione devastante, con l’Inter rimasta tramortita e spaventata sotto le (sue) macerie. Il punteggio, apparentemente normale, non fa parte della categoria “sì, è andata così”. Walter Zenga si poté concedere una delle sue abituali corse verso il guardalinee solo dopo l’1-0 di Gullit: prima e dopo fu molto più impegnato a lavorare duro su palloni che sbucavano da tutte le parti e dopo il 2-0 di Virdis, raccontano le Derby Tales, su un calcio d’angolo prese da parte il bocia Maldini e gli chiese di intercedere presso i caudillos milanisti perché la piantassero. Ma il lancio dell’asciugamano o la manifesta inferiorità è roba che sta in altri sport forse più nobili ed evoluti, ma tremendamente insipidi rispetto a una stracittadina. Ah ecco, si diceva di Zenga. Concluse la sua Sunday Bloody Sunday appendendo in spogliatoio (con la collaborazione di Ferri) un Vincenzino Scifo troppo ridanciano nonostante il dramma e quindi ammettendo alle moltitudini di 90.mo Minuto e Domenica Sportiva che, in qualità di tifoso prima e giocatore poi “come interista si vergognava”. Càpita. Sipario.

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febbraio 38Capra, Capra, Capra!
Milan-Ambrosiana Inter 1-0, 20 febbraio 1938

Sgarbi – Abdon Sgarbi – era il capitano del Milan che, nel luglio 1928, batté l’Ambrosiana nel girone finale di campionato: perfetto, dunque, che sia stato uno chiamato Capra – Egidio Capra – a rompere l’incantesimo quasi 10 anni dopo, quando ormai i frustrati ma fedelissimi, affezionati supporters di quel Diavolo molto più simile a una provinciale che a uno squadrone metropolitano avevano inghiottito tonnellate di fiele, sconfitte, glorificazioni del Balilla Meazza, sbausciate continue della già conclamata cultura bauscia. E proprio questa parola uscì a tutti polmoni dalla bocca del buon Egidio quando, a 10 minuti dalla fine, mandò la palla alle spalle del portiere ambrosianista Perucchetti, che in perfetta nuance con lo stile dei suoi tifosi, scommise alla vigilia con un giornalista della Gazzetta sull’ennesima passeggiata ambrosianista sui poveri Diavoli. “Càtta sü, bauscia”, urlò, prendi e porta a casa, bauscia interista. Firmato il cacciavite Egidio, portato in trionfo dai compagni a fine partita mentre i convenuti a San Siro si sgolavano in un anticipatore “Capra, Capra, Capra!”che sarebbe sicuramente piaciuto a Sgarbi (Abdon), scomparso giovanissimo. Contemporaneamente, nelle osterie dei quartieri popolari e operai di Milano, cominciava un inedito party casciavid. E chi se ne frega se domani è lunedì.

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Manchester, che coscia meravigliosa
Inter-Milan 1-1, 13 maggio 2003

Ciò che automaticamente giunge di ritorno dal ricordo del derby più importante di sempre (inutile aprire dibattiti sul tema) è ancora quella tensione tremenda, quella consapevolezza – da ambo le parti – dell’enorme posta in palio, di essere di fronte a un bivio fondamentale per la storia di due società che, insomma, prima e dopo qualcosa avevano e avrebbero combinato. È per questa ragione che molti milanisti, ancora più che la felina zampata di Shevchenko che gonfiò la rete interista, si sovvengono il terribile countdown seguito al pareggio di Martins, con apice in quel secondo in cui si cercò di intuire se la palla calciata da Kallon e deviata dalla coscia di Abbiati in versione kamikaze sarebbe entrata in rete oppure no. Giovanni Arpino, in “Azzurro Tenebra”, raccontava di un Mondiale, e di un tocco finale, decisivo per il dentro o fuori, portiere saltato, sfera che scivola via lenta verso il palo, tutti in piedi, ciuffo d’erba, fuori di un centimetro. A guardare disperato verso “stelle fuggite, traditrici” fu Sandro Mazzola. Guarda caso interista.

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