La crisi del Milan. Quali sono le cause?

 

Che fine sta facendo il Diavolo, quella squadra che ha fatto dell’innovazione tattica e del successo – in Italia e a livello internazionale – la propria bandiera? Non riesce a trovare pace, questo Milan. Un infinito e costante periodo buio, frutto di un abbandono nato più o meno dopo l’ultima vittoria in Champions League, targata 2007. Fa eccezione solo la stagione 2010/2011, anno del tandem scudetto/Supercoppa Italiana. Ma questo è un’altra storia, come tutte quelle che hanno come protagonista un certo Zlatan Ibrahimovic.

LA CRISI SOCIETARIA…

Il più importante artefice dei successi rossoneri degli ultimi 25 anni è stato il primo, nel tempo, a distaccarsi dalla causa Milan: parliamo del presidente Silvio Berlusconi, sempre più immerso in quello che è diventato il suo obiettivo primario, e cioè la scalata politica. Se volessimo individuare un periodo preciso dell’ufficiale abbandono della società di via Aldo Rossi (che prima del cambio era via Turati) potremmo indicare il post calciopoli, dunque il biennio 2007/2008. Un lasciar andare graduale, all’inizio impercettibile: la vendita di Shevcenko, idolo assoluto e attaccante faro del Milan ancelottiano, è il primo vero movimento che fa pensare, una sorta di precursore delle campagne acquisti a tratti grottesche che hanno interessato il Milan nel corso degli ultimi 8 anni. Se dall’alto però vengono chiusi i rubinetti, chi avrebbe dovuto ovviare a questa lacuna lo ha fatto ma male.

L’amministratore delegato Adriano Galliani ha in mano le possibilità di costruire una squadra per il presente e il futuro, ma la sua filosofia di mercato è tanto obsoleta quanto deleteria. I rossoneri hanno il secondo fatturato in Italia, quindi se è vero che Berlusconi ha stretto la cinghia, è anche vero che non si tratta di budget insufficiente, quanto di scelte totalmente errate. Basare una campagna acquisti sui parametri zero, sulle vecchie glorie a cui è rimasto solo il nome e sui giocatori degli amici procuratori, non può che portare problemi.

Il modo di Galliani di fare mercato lo si può definire accentratore, essendo l’unico ds che lavora senza rete di collaboratori. C’era una volta Braida, che poi è finito al Barcellona per motivi che non sono mai stati chiarissimi. Altro erroraccio gestionale è stato quello di ingaggiare gente non eccelsa con contratti pesanti e poi difficilmente rivendibili e con zero profitto. Ma non solo: controversa gestione anche delle guide tecniche, tanto da cambiarne 3 dal gennaio 2013. Allegri, trionfatore della stagione di cui sopra, insieme a uno strepitoso Ibra, un spettacolare Boateng, un redivivo Cassano e quella coppia difensiva tanto invidiata formata da Sandro Nesta e Thiago Silva furono i protagonisti dell’ultima stagione vincente per i milanisti. Poi però subentrò la crisi del terzo anno, e arrivò il giorno che per tantissimi tifosi coincide con la morte del club: la vendita dello svedese e di Thiago. Incasso mai utilizzato per la causa rossonera.

 

…E QUELLA TECNICA

 

Questione Seedorf: l’olandese subentra al tecnico livornese all’inizio del girone di ritorno, collezionando quasi il doppio dei punti fatti dal predecessore. Ma non va a genio alla società, reo di essere troppo diretto nelle esternazioni critiche nei confronti della gestione. Allontanato l’ex numero 10 rossonero, ecco le aspettative gonfiate nei confronti di Pippo Inzaghi, presentato come l’uomo della rinascita, sull’onda del comprensibile entusiasmo delle tante reti segnate con la maglia numero 9 e delle irripetibili emozioni regalate al pubblico di fede milanista. Esperimento riuscito nel peggiore dei modi, con il suo esonero “naturale” dopo una delle peggiori stagioni del Diavolo sotto la gestione berlusconiana. Colpe da dividere tra le parti contendenti, va detto, perché l’ex attaccante non ha saputo gestire nulla sotto il punto di vista della comunicazione. Troppi errori dettati da inesperienza e presunzione.

Conclusosi un anno travagliato, ecco spuntare un nome che non ha nessun legame coi colori in passato. Un ex Inter, Lazio e Sampdoria, un sergente di ferro, Sinisa Mihajlovic. Cambiano i protagonisti ma la mediocrità del gioco rimane la stessa, con l’unico denominatore comune, l’organigramma societario. La batosta a San Siro contro un Napoli che pare rinato ha scatenato i nostalgici di Pippo gol e i detrattori del serbo, nonostante siano passate solo 7 giornate. Evidentemente il Milan attira critiche sempre più aspre per via della recidività degli sbagli, sia fuori che dentro al campo. E i pronostici sulla Serie A di GazzaBet e delle altre case da gioco specializzate sul calcio non prevedono un campionato in discesa per i rossononeri, proprio a causa di un gruppo che ha volte ha dato l’impressione di essere unito, altre di non entrare in partita con la testa giusta.

 

UN FUTURO INCERTO

 

In tutto ciò continua la saga infinita della vendita del club, iniziata ormai quasi un anno fa. Mister Bee e il suo lavoro di mediatore finanziario sono stati visti come l’unica via d’uscita da questo pantano ma la trattativa non riesce ad andare in porto, tanto da accennare a un sopraggiunto disinteresse da parte degli acquirenti. Dall’altra parte Berlusconi ha affermato che vuole lasciare da vincitore, che sottintende ancora una permanenza ai vertici. Ma questa volta non basteranno le promesse, perché il clima intorno sta cambiando, anche gli affezionati stanno prendendo le distanze dalla proprietà, senza possibilità di altre mancanze.

Perché è questo il vero problema: la poca attenzione alle lacune come il centrocampo e la difesa. Manca una figura che raramente è mancata nel sistema di gioco tradizionale della sponda rossonera di Milano, il classico regista, colui che smista i palloni e detta i tempi. Che non è Montolivo, per quanto si avvicini molto, e tanto meno lo è de Jong, incontrista puro. L’inesistenza di alternative porta a cambiare assetto spesso e all’approdare a un più solido 4-4-2, modulo utilizzato nell’amichevole contro il Monza vinto per 3-0. La strada è lunga, ma per migliorare tocca cambiare.

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