L’avv. e prof. Cavalieri: “Non c’è paragone fra Suning e i cinesi del Milan. Pechino prudente perché è a rischio la credibilità dell’intero sistema”

Nonostante i 200 milioni di caparra già versati nelle casse di Fininvest, la trattativa per il passaggio di proprietà del Milan alla cordata cinese confluita nella Sino-Europe Sports Investment non è ancora completo. Per discutere della vicenda, l’edizione odierna de Il Corriere della Sera ha intervistato Renzo Cavalieri, docente dell’università Ca’ Foscari di Venezia, esperto in finanza orientale e tra i legali del passaggio di proprietà dell’Inter ai cinesi di Suning.

Innanzitutto il professor Cavalieri ha spiegato le differenze tra le due trattative: “Per me non c’è partita: sono due casi molto differenti. Suning è una realtà solida e articolata, con rami di business da tempo nel sistema-calcio della Repubblica Popolare. Pochi mesi di trattative, poi il closing. Per quanto riguarda il Milan, ma non è certo una novità, mi pare che ancora si debbano chiarire aspetti fondamentali come l’identità precisa della nuova proprietà e il futuro gestionale della squadra”.

Il problema essenziale che ha rallentato la trattativa, è la mancata concessione delle autorizzazioni da parte del Governo cinese all’esportazione di capitali all’estero: “Ogni investimento estero che abbia origine in Cina ha bisogno di specifiche autorizzazioni, in particolare da parte di tre enti: la National development and reform commission (Ndrc), il ministero del Commercio (Mofcom), infine (e forse la più importante), la State administration for foreign exchange (Safe). Mi risulta che Pechino abbia deciso di stringere le maglie ma le regole applicate sono sempre le stesse. Negli ultimi tempi è uscito molto denaro dal Paese, in parte con logica industriale, in parte assolutamente no: in molti casi si è trattato anche di investimenti fittizi, che nascondevano fughe di capitali o forme di evasione fiscale. Dunque è stato deciso di mettere un freno.  Tutta la vicenda Milan appare abbastanza opaca sin dai tempi di mister Bee, l’imprenditore sino-thailandese che rappresentava capitali cinesi: finito nel nulla. Poi buco temporale, nomi che saltavano fuori come generati da un computer e infine il consorzio guidato da Li Yonghong, finanziere di cui mi pare che gli stessi cinesi sappiano piuttosto poco”.

Proprio la scarsa conoscenza dei membri della cordata cinese può essere un grave problema: “Il denaro può non bastare a portare a compimento un affare simile. Ci vogliono risorse umane e manageriali per guidare una società come il Milan. Non mi sorprende la prudenza da parte delle autorità di controllo della Cina: a rischio è la credibilità di un intero sistema“.

Impostazioni privacy