Lapadula: “Al Milan un nuovo inizio. Non sono un attaccante d’area, il gol non è il primo obiettivo. Dopo il rigore di Doha ho perso un po’ la testa, ma…”

Gianluca Lapadula ha concesso una lunga intervista a Forza Milan!, numero di gennaio, il mensile ufficiale rossonero. E ha parlato della sua carriera, con particolare attenzione all’esperienza rossonera.

Il momento in cui ha capito di poter sfondare nel calcio: “Non credo ci sia stato un momento preciso. Però ho sempre avuto qualcosa dentro che non mi spiegavo. Poi, con il tempo, sono riuscito a dare un nome a questa sensazione: voglia di arrivare”.

Sulla gavetta: “Il mio approdo al Milan deriva da tane cose, ma soprattutto dall’atteggiamento che ho sempre messo in campo, quella voglia di rincorrere sempre l’avversario e non mollare mai. Lo facevo anche in Serie C2, in Slovenia, in Lega pro e in Serie B: è sempre stata una mia caratteristica. Per la mia ascesa la differenza l’ha fatta anche il crederci sempre, pure quando nessuno ci avrebbe mai scommesso”.

Gennaio 2011: “In quella circostanza ho vissuto uno dei momenti più critici della mia carriera. L’estate precedente andai all’Atletico Roma tramite Leonardi (allora dirigente del Parma, ndr), ma fu un fiasco totale. Dopo due settimane mi misero fuori rosa, mi dissero che non ero parte del progetto e non mi lasciarono neppure andare via. Sei mesi ad impazzire, con tante domande nella testa. Tornato a casa per le vacanze invernali, mi allenai con mio fratello per stare in forma e proprio lui consigliò di non farmi sconfiggere da quei problemi, proprio quando iniziavo a pensare che fosse il caso di guardarmi un po’ attorno, fuori dal calcio. Scelsi io di andare in Slovenia, avevo offerte in Lega Pro non volevo più saperne: società fallite, insolventi e diverse situazioni poco limpide”.

Idolo da bambino: “Ammiravo molto Del Piero, essendo di Torino. Al di là del campione, lo apprezzai ancora di più quando verso i 30 anni venne messo in discussione. Come si può dopo tutto quello che ha fatto? Eppure non disse una parola, mai una lamentela. E poi in campo faceva la differenza”.

Le sensazioni ad entrare nello spogliatoio del Milan: “Un’emozione nuova. L’ho vissuta come un altro inizio, una possibilità e non un punto di arrivo. È stato molto stimolante. Giocare a San Siro, dopo tutti questi passi…”.

Tra i vari ringraziamenti, anche Oddo: “Devo ringraziare lui, la società e la squadra del Pescara. Persone che mi hanno più sopportato che aiutato (ride, ndr)”.

Sul carattere: “Io sono molto critico con me stesso. Quando faccio bene o male sono il primo a rendermene conto. Quando faccio male, ogni settimana la sensazione è sempre la stessa: ci penso giorno e notte. Penso sia la mia forza. Qualcuno mi dice che sono troppo autocritico, ma so quanto posso dare: anche se faccio due gol mi chiedo perché non potevo farne 3 o magari degli assist. È così da sempre”.

W l’allenamento: “È molto bello allenarsi in settimana, tenersi in forma, migliorarsi e preparare al meglio la partita successiva: mi piace proprio. Poi ho le mie motivazioni: la gavetta, il non voler deludere chi ha creduto in me e la voglia di riconfermarmi”.

Il primo pensiero sul Milan: “La squadra più gloriosa d’Italia. Quando ho sentito Milan ho subito detto sì. Una squadra del genere non può essere rifiutata, perché ha una storia e una società organizzata. Questo pensiero lo confermo anche adesso”.

Qualche rossonero del passato che l’ha impressionato: “Seedorf. Ricordo una caratteristica: quando sbagliava un passaggio, l’azione dopo provava sempre una giocata difficile. Notati questo particolare, non so come mai”.

Ancora su Oddo: “Non abbiamo mai parlato del Milan, la trattativa è stata segreta e veloce e non c’è stato tempo. So che lui ha speso belle parole nei miei confronti con Galliani. Appena ho firmato ci siamo sentiti, non prima”.

Sui giovani: “Forse manca un po’ di umiltà e voglia di arrivare per via delle varie distrazioni che ci sono oggi. Anche le fasce d’età protette in alcune categorie non agevolano: quando ho cominciato non c’era nessun limite e i meno esperti dovevano dare 4 volte tanto rispetto agli altri. Questo probabilmente ha abbassato lo spirito di sacrificio dei ragazzi: ho visto giocatori fortissimi in Lega Pro, Slovenia e Serie B che per alcuni motivi non hanno sfondato”.

Quanto conta la testa: “Credo che bisogna scendere in campo con la giusta sequenza: molti lo fanno con piedi, cuore e testa, io invece metto prima la testa, poi il cuore e infine i piedi”.

Zero gol alle big: “Sono statistiche: Lapadula non ha segnato a Roma, Juve e Inter ma lo ha fatto con Empoli, Crotone e Palermo. Ma a Roma, per esempio, il Milan ha fatto una grande prestazione e potevamo finire il primo tempo in vantaggio di due gol. Il gol lo vivo come una conseguenza della prestazione, non è il primo obiettivo. Se non avessi fatto 30 gol al Pescara non sarei al Milan, ma nessuno ricorda il bel gioco espresso e miei 13 assist”.

Attaccante d’area a chi? “Io non sono un attaccante d’area, a me piace dare una mano alla squadra, tenere palla, prendere fallo e fare gli uno-due. Poi quando ci riesco provo a segnare”.

Avversario insuperabile: “Mi viene in mente la difesa della Juve: Rugani e Chiellini sono molto tosti”.

Su cosa deve migliorare: “Tecnicamente, molto. Di recente mi sono fermato a Milanello a calciare. Mi impegno ad usare di più il destro che arranca (ride, ndr)”.

Un errore che non rifarebbe: “Il rigore di Doha. Mi ha portato 3 giorni di pensieri in cui c’ero ma non c’ero con la testa, poi ho ringraziato i miei compagni che mi hanno salvato vincendo. Ma alla fine quell’episodio mi ha dato ancora più carica per il futuro: metto maggiore concentrazione e non ho paura a riprovare un rigore, anzi è uno stimolo in più”.

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