Quando il cambiamento è sinonimo di terremoto

Un anno fa l’inconcepibile decisione di cambiare allenatore a cinque giornate dalla fine e ci siamo giocati l’Europa League. Quest’anno l’incomprensibile cambio di “proprietà” e, guarda caso, stiamo buttando via un altro piazzamento europeo. E’ un paradosso, è chiaro. Ma qualche punto in comune c’è. Ovviamente mi riferisco agli effetti prodotti sulla squadra. Che poi è quello che più conta. Concentrazione, unità e motivazioni sono gli aspetti più determinanti nella fase finale della stagione, quando ci si giocano gli obiettivi. Per intenderci. A fine anno squadre deconcentrate, disunite e demotivate danno vita a prestazioni penose, nonostante le grandi qualità tecniche di cui dispongono. L’esempio più lampante è proprio l’Inter di quest’anno.

Noi non abbiamo le stesse qualità tecniche e non a caso la nostra rosa è stata costruita con prestiti, scarti, giocatori a fine corsa e giovani di belle speranze. Ma il mister, sostenuto e guidato dalla società, era riuscito a cavarne fuori una vera e propria squadra, con le sue logiche e i suoi equilibri. Ma soprattutto unita e concentrata. Con organizzazione e determinazione abbiamo giocato un campionato al di sopra delle attese, ci siamo tolti qualche bella soddisfazione e ci siamo portati pure a casa la Supercoppa. Poi, esattamente come l’anno scorso c’è stato un “cambio”. Un cambio radicale e importante. Inutile parlare adesso degli effetti che questo cambio dirigenziale avrà a partire da giugno ed inutile ipotizzare quello che sarà in grado di fare questa “nuova” ignota proprietà. Parliamo soltanto dell’effetto che questo “cambio” dirigenziale ha avuto sulla squadra.

I giocatori, non esattamente un gruppo di campioni, ma tutti ragazzi di buona volontà e grandi motivazioni, hanno perso all’improvviso alcuni punti di riferimento. La figura di Berlusconi, agée e un po’ appannata, era pur sempre una garanzia dal punto di vista della stabilità economica e societaria. Al suo posto è comparso per due ore in un pomeriggio di aprile uno sconosciuto cinese, che il giorno dopo è tornato da dove era venuto. Per quanto riguarda la figura di Galliani, criticabile quanto volete per le ultime campagne acquisti, quando saliva a Milanello non faceva volare una mosca. E in sede, quando passava lui per i corridoi, tutti si ammutolivano. Anche se poi, appena passato, ricominciavano le congiure di palazzo. Certo non possiamo chiedere al buon Mirabelli di avere il carisma e l’autorità di Galliani.

Dal giorno del “closing” in poi Mirabelli è salito a Milanello un giorno sì e l’altro pure, ma gli effetti sulla squadra non sono stati certo taumaturgici. Stesso dicasi per Fassone. Nulla contro di lui, ma non possiamo certo pensare che si disperi nel vedere la vacanziera Roma del partente Spalletti passeggiare a San Siro su quel che resta del nostro dignitosissimo Milan stagionale. Non possiamo certo pensare che impari a fare l’amministratore delegato tutto d’un colpo. In precedenza non l’aveva mai fatto. Non possiamo certo pensare che i giocatori lo ascoltino ammaliati visto che negli spogliatoi di Juventus, Napoli e Inter non aveva mai aperto bocca. Non possiamo pretendere da Fassone quello che nemmeno lui ci può garantire. Se i soldi a disposizione per la prossima campagna acquisti saranno 50/60 milioni, con i quali potremo (forse) competere per entrare in Europa League, la colpa non è certo di Fassone, ma di chi ci ha dipinto questo “cambio” di proprietà come un evento salvifico e multimilionario. Se non entreremo in Europa League dopo aver inanellato la brillante serie di 2 punti in 4 partite (1 tra Empoli e Crotone), la colpa non è certo sua, ma di chi ha pensato di organizzare tutto questo teatrino a metà aprile. E per fortuna è saltato il famoso “tredici dicembre” quando era inizialmente previsto. Almeno quest’anno la finale contro la Juve siamo riusciti a vincerla. Please wait while you are being redirected…

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