Il gioco latita, ma dov’è la testa?

Seconda trasferta impegnativa, secondo rumoroso tonfo. È un lunedì delicato in casa Milan, di riflessione e d’analisi su un momento inaspettato in questo momento della stagione. Il 2-0 genovese di ieri, d’altronde, non è solo il secondo stop della stagione, ma anche il secondo rumoroso campanello d’allarme di questo avvio d’annata: se una domenica storta capita a tutti, soprattutto lontano dalle mura amiche, due iniziano a segnare un trend pericoloso. Perdere in casa di Lazio o Samp in questo momento non sarebbe la fine del mondo, ma preoccupa il modo in cui sono arrivate le due sconfitte, con un Diavolo inerme, spento e svuotato, strapazzato dai capitolini e superato dai blucerchiati in due gare perse con merito.

Le vittorie (più o meno agili) con Austria Vienna, Udinese e SPAL avevano ridato ossigeno e fiducia a un ambiente scosso dalla Caporetto dell’Olimpico, facendo intravedere passi avanti nella strutturazione di quella difesa a tre programmata sin da luglio con l’arrivo di Leo Bonucci. Gli exploit di alcuni singoli e la buona tenuta mentale della squadra, brava a reagire sia alla prima caduta sia alle classiche difficoltà in casa con le “piccole”, avevano dato fiducia e positività. La battuta d’arresto con la Samp, tuttavia, è un clamoroso e netto passo indietro: la squadra non è mai stata in partita, mai pericolosa dalle parti di Puggioni, mai veramente con la testa in una gara chiave nel primo filotto della stagione. Se il gioco latita – difficile pretendere caviale e champagne, con una squadra tutta in costruzione e un calendario fitto di impegni -, a inquietare è la scarica mentale del gruppo, sovrastato di testa da un avversario sicuramente più organizzato e collaudato, ma anche nettamente più cattivo e concentrato.

Insomma: preoccuparsi, oggi, è giusto e sensato. Il Milan deve necessariamente passare per un periodo di transizione in cui trovare gli equilibri dentro e fuori dal campo, ma perdere così non è accettabile. E il primo responsabile di tutto, nel bene e nel male, è sempre l’allenatore. Montella ha dimostrato di avere buone doti e soprattutto di meritarsi la conferma, alla luce di una buona stagione col ritorno in Europa e la Supercoppa italiana: metterlo in discussione a settembre, dopo due sconfitte, è una follia. Ma se per il gioco serviranno tempo e pazienza – l’impegno europeo non aiuta la ricerca degli automatismi né l’inserimento dei nuovi, tra cui tanti stranieri da far ambientare -, l’atteggiamento in campo deve essere molto diverso: servono un piglio e una convinzione diversa da quelle messe in campo con Lazio e Samp. Un compito del tecnico, certo, ma anche degli uomini di maggior carisma ed esperienza del gruppo: anche Bonucci, Biglia e i senatori devono dimostrare coi fatti di avere spalle abbastanza larghe per prendersi responsabilità in club come il Milan.

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