Tragedie di Serie A e tragedie di Serie B: l’ennesimo giorno di ordinaria ipocrisia del calcio italiano

Laureatosi in Giurisprudenza nel 2015, Giovanni D’Avino è giornalista pubblicista dal 2016. Praticamente nato con la passione per il giornalismo ed il calcio, soprattutto quello a tinte rossonere, nel dicembre 2012 entra a far parte di SpazioMilan.it, per il quale attualmente svolge il ruolo di Coordinatore di redazione. Da alcuni anni collabora anche con il settimanale calcistico Corriere del Pallone.

Partiamo da una premessa, doverosa quando si affronta un tema così delicato: la tragedia che ha colpito Genova due giorni fa ha straziato il cuore di tutti noi, atterriti dal fatto che nel 2018 si possa morire cadendo da quasi cento metri di altezza perché un ponte ti si sbriciola sotto i piedi. Detto questo, a parere di chi scrive, una considerazione va fatta: in base a che cosa i “padroni” del calcio italiano decidono quando portare rispetto ai morti e quando no?

La domanda sorge spontanea perchè, purtroppo, nel corso degli anni episodi di tale – o maggiore – portata sono stati “trattati” in maniera differente dai vertici del pallone nostrano. Il caso più eclatante rimanda al weekend del 27 e 28 agosto 2016, quando – a tre giorni dal devastante terremoto che colpì Lazio, Marche e Abruzzo, causando quasi 300 morti – i campionati si disputarono regolarmente, dalla Serie A alla Terza Categoria. Scese in campo, in B, anche l’Ascoli, nonostante nella sua provincia (ad Arquata del Tronto) si contarono 49 persone decedute e la stessa città avesse subito importanti danni. Non serve nemmeno varcare i confini italici – negli USA, una settimana dopo l’11 settembre, i New York Mets, seppur costretti ad emigrare a Pittsburgh perché il loro stadio era ancora usato dalle squadre di soccorso, giocarono indossando cappellini della polizia e dei vigili del fuoco per celebrarne l’eroismo – per capire che il nostro (ed in questo il calcio ne è perfetta rappresentazione) è il paese dell’ipocrisia e dell’approssimazione.

Sarebbe stato comprensibile un rinvio del solo match tra Sampdoria e Fiorentina: impensabile, del resto, disputare una partita di calcio (da sempre un momento di festa) in una città non solo avvolta dal lutto e dalla disperazione, ma anche impegnata con tutta sé stessa – forze dell’ordine in primis – ad agire su quel maledetto viadotto ed a prestare soccorso a chi ne ha bisogno. Ma perché Milan-Genoa? Perché rinviare un match che si gioca a Milano? Lo hanno chiesto i giocatori rossoblu, che evidentemente non se la sarebbero sentita di scendere in campo? Comprensibile, ma secondo voi i giocatori dell’Ascoli nel 2016 se la sentivano? Ed i Mets nel 2011? Non sarebbe stato meglio far disputare il match meneghino e devolvere tutto l’incasso alle famiglie delle persone coinvolte e agli enti che si occuperanno della ricostruzione?

L’ennesimo giorno di ordinaria ipocrisia del calcio italiano, recita il titolo di questo editoriale. Come definirlo altrimenti? Anche perché, al momento, sabato 18 – giorno di lutto nazionale indetto dal Governo – si giocheranno regolarmente Chievo-Juventus e Lazio-Napoli. Non sia rimandare il tanto atteso debutto italiano di Cristiano Ronaldo o il primo appuntamento di cartello della stagione. Il rispetto dei defunti a giorni alterni…

Twitter: @Juan__DAv

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