Donnarumma-out? Ormai è troppo tardi

#DonnarummaOut. L’hashtag – diventato vero e proprio tormentone due estati fa, dopo le note vicende legate al suo rinnovo contrattuale – da domenica sera è tristemente tornato in voga. I milanisti, c’è poco da fare, non lo vogliono più vedere. Neanche in foto. Sicuramente non lo vedranno tra i pali giovedì, quando a San Siro contro il Betis giocherà Pepe Reina, il portiere di Europa League. Ma a scontentare tutti i sostenitori rossoneri ci penserà Gennarino Gattuso – l’altro bersaglio dopo la sconfitta nel derby – che insieme alla società ha fatto e sta facendo muro intorno al diciannovenne.

Tutta responsabilità sua domenica? Difficile, ma stare a impazzire dietro al giochino delle colpe serve a poco e rischia di diventare tanto stancante quanto infantile. Quello che però si può – anzi, si deve – fare è cercare di trovare una soluzione a questa situazione e analizzare tutti i pro e i contro di un’eventuale dipartita a stagione in corso di Gigio(ne).

OMICIDIO PSICOLOGICO O CASTIGO TERAPEUTICO?
Escludendo quelli che lo detestano come se avesse rigato loro l’auto o scippato la ragazza, sono molti quelli che consigliano – immedesimandosi nel ruolo di mister da parrocchia – la panchina curativa. Come se l’esclusione, la punizione possa miracolosamente colmare le lacune tecniche di un professionista – in ogni caso – in fase di crescita e soggetto inevitabilmente ad alcuni cali, di concentrazione e di prestazione. Dimentichiamoci – anche se esistono – per un attimo dei 6 (o 7, come vogliamo) milioni di euro netti percepiti a stagione e delle più di 100 presenze in rossonero. L’abbiamo fatto? Ecco, stiamo parlando di un ragazzo nato nel 1999. Anzi, un portiere nato nel 1999. E questo non è un dettaglio irrilevante. Perché in primis quello del portiere – ora sfruttiamo i luoghi comuni – è il ruolo più difficile di tutti. E lo dimostra il fatto che Suso, per un errore evidente come quello commesso all’80’, non ha ricevuto lo stesso trattamento. In secondo luogo perché la maturità tecnica di un estremo difensore – e anche questo è risaputo – arriva tardi ed è piuttosto utopistico pretenderla da un diciannovenne. Relegarlo in panchina, ora, rischia solo di distruggerlo psicologicamente, di bruciare una ex promessa (in quanto certezza ormai) di indubbio talento. Certo, ci si poteva pensare prima di affidargli a pieno titolo le chiavi della porta rossonera nel 2015 e concedergli poi quell’ingaggio monstre, ma come detto prima il giochino è inconcludente.

SVALUTAZIONE ECONOMICA
Vogliamo non parlare dei soldi? Erano tanti quelli che lo scorso anno invocavano: “Lasciamolo in tribuna un anno! Non importa perderlo a parametro zero, basta dargli una lezione”. Gli stessi però che poi davanti vogliono il bomber da 30 gol stagionali e il playmaker che dopo Pirlo non s’è più visto. E come li paghi? Donnarumma – è inutile nasconderlo – è un tesoro (anzi, un tesoretto) che la società milanista deve maneggiare con estrema cura. Qualora davvero si scegliesse di ricominciare la prossima stagione con un altro portiere, Gigio costituirà un’importante pedina di mercato. Ed è elementare comprendere che un titolare (nonché portiere della Nazionale italiana) è cedibile per una cifra superiore rispetto a quella di un bistrattato panchinaro. Dunque è interesse di tutti – tifosi compresi – proteggerlo e difenderlo, anche controvoglia. Si sa mai che magari questo sostegno  – seppur farlocco e forzato – possa aiutarlo a giocare sereno e a tornare quello visto con Mihajlovic o a Doha, quando insieme a Bonaventura ha consegnato al Milan una Supercoppa Italiana, primo trofeo vinto dopo lo scudetto di Allegri e di fatto anche ultimo. Ma no, lasciamolo in panchina… #DonnarummaIn.

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