La cantera buttata via

Lo scorso dicembre, durante il “Clasico”, la partita tra Barcellona e Real Madrid, la squadra di Guardiola ha inanellato un altro record che forse da solo ci fa comprendere come mai questa club abbia raggiunto livelli così impressionanti di bravura: ad un certo punto, nella squadra che stava giocando, vi erano ben 10 giocatori provenienti dalla “cantera”. La cantera (in spagnolo letteralmente “cava”) è quella che da noi viene chiamata “primavera”, vivaio. Ma per i catalani non è solo un luogo dove far giocare i calciatori più giovani. È una filosofia del tutto diversa: significa far crescere insieme un gruppo di ragazzi, con lo stesso metodo e con la stessa mentalità, allevare un gruppo di ragazzi che si conoscano bene e che possano essere trapiantati, un giorno, in prima squadra senza sentire vertigini da debutto. Quello che facevano prima, continueranno a farlo dopo. E non si può nemmeno dire che si tratti di giocatori di seconda fascia, se si considera che stiamo parlando del capitano Puyol, di Iniesta e Xavi, secondo e terzo classificato del Pallone d’oro 2010, di Pique,Sergio Busquets, Victor Valdes, Pedro e Bojan, oltre che Messi, pallone d’oro in carica, argentino di nascita ma arrivato praticamente bambino nella cantera e affermatosi in quella squadra. Discorso simile può farsi anche per il Real Madrid e, fuori dalla Spagna, dell’Arsenal e di altre squadre inglesi.

Prendiamo spunto da questa analisi per una considerazione su quello che è l’atteggiamento delle squadre italiane, in particolare della nostra Juventus, riguardo ai loro giovani. E lo facciamo partendo da un dato di fatto: nelle ultime convocazioni della Nazionale figuravano molti nomi che sono passati dal vivaio bianconero, ma che, evidentemente non sono stati ritenuti “da Juve”, chissà da chi. Quasi tutta la linea difensiva, comprendendo Buffon e Chiellini, era bianconera: Criscito, Balzaretti e Cassani sono tre ex, mentre nella linea di centrocampo spicca il nome di Nocerino e in attacco di Giovinco. Ragazzi che, a parere di chi scrive, non avrebbero sfigurato nella Juventus di questi ultimi anni. Così come non avrebbero sfigurato lo stesso Palladino e Andrea Masiello.

Non si deve dimenticare che questi ragazzi, inseriti in una struttura che dava loro fiducia, e che li sosteneva, sono stati capaci di vincere ben 3 edizioni del Torneo di Viareggio consecutive (dal 2003 al 2005), cosa mai riuscita a nessun’altra squadra e perdendo di misura la quarta finale consecutiva, quella del 2006, anno in cui, però, la primavera vinse lo scudetto di categoria. Segno che l’impalcatura di quella squadra era forte e che poteva essere sfruttata meglio per costruire la squadra del futuro. Anche in considerazione del fatto che, nel 2006, la sciagura di Calciopoli poteva permettere un inserimento meno traumatico dei ragazzi, dovendo disputare il campionato di B. Ed invece, i soli Marchisio e De Ceglie, di quella squadra, sono ancora oggi nell’organico della Juventus, a lottare per un posto da titolari.


Lo stesso errore pare si stia compiendo oggi, quando i ragazzi vincitori di altre due edizioni consecutive del Torneo Giovanile più importante del mondo (2009 e 2010), sono stati mandati (o lo saranno ben presto) in giro per l’Italia a fare esperienze che quasi mai serviranno loro per spiccare il salto di qualità. Bruciato ormai Paolucci (che qualche anno va venne richiamato a Torino nel mercato di gennaio quasi come salvatore della patria salvo giocare qualche scampolo di partita), ceduto Ariaudo nell’affare Matri, rischiamo di perdere anche le tracce di Ciro Immobile che rimane un goleador dall’ istinto micidiale, di Luca Marrone di cui pure si dice un gran bene, protagonista di un buon campionato nel Siena di Conte, mentre stanno per partire in prestito Ekdal, Giandonato e Sorensen, ed è tutto da decifrare il futuro dei baby Giannetti, Boniperti, Libertazzi, Buchel. Misteri del calcio rimarranno, per sempre i casi di Fausto Rossi e di Yago Falquè. Il primo, uno dei ‘90 più promettenti si è perso nelle nebbie vicentine, complice anche un infortunio (e proprio di questi giorni è la notizia del rinnovo della comproprietà); il secondo, arrivato a Torino proprio dalla cantera blaugrana con le stimmate del campionissimo in erba, gioca la prima stagione italiana solo nella primavera (con una sola convocazione in prima squadra), poi viene ceduto in prestito al Bari con cui anche gioca solo nella seconda squadra. A gennaio 2010 torna a Torino per poi passare, ancora con la formula del prestito, al Villarreal B con cui conclude lo scorso campionato con 11 reti in 38 presenze.

E allora, la domanda è: siamo noi italiani ad avere paura a lanciare i giovani in prima squadra troppo presto, o i nostri giovani sono meno bravi di quelli di altre nazioni? Bisognerà domandarselo, prima o poi, senza arrivare a fare le figuracce in campo mondiale come avvenuto lo scorso anno. Se i giovani di cui ho parlato sopra per trovare spazio sono costretti a giocare (con tutto il rispetto) in squadre come Genoa, Palermo, Parma, Siena, Bari per poi arrivare in Nazionale vuol dire solo che qualcuno non ha creduto in loro, non li ha valorizzati come meritavano, non ha permesso loro di esprimersi ai livelli propri. Messi, Iniesta, Fabregas hanno esordito in prima squadra a 17 anni e da quel momento sono diventati perno delle loro compagini. Certo, forse nessuno di coloro di cui abbiamo parlato è a quei livelli, ma è anche vero che mai nessuno ha avuto la possibilità di confrontarsi con il calcio, quello vero, fin da giovani e dimostrare quello che realmente valevano. Insomma: troppo bravi loro o troppo pavidi noi?

Francesco Alessandrella

Impostazioni privacy