Il capitano lungimirante, che il coraggio spingerà lontano

Quando al termine della stagione 2008/2009, era un Milan-Roma terminato 2-3, Paolo Maldini saluta il calcio giocato a San Siro in uno dei momenti più bassi nella storia del tifo rossonero, appare subito chiaro il futuro della fascia: si parla insistentemente di Gattuso, qualcuno propone Kakà, partente di lì a poco, ma la gerarchia di via Turati ha sempre parlato chiaro, col “potere” in mano all’esperienza dei veterani. La scelta, dunque, ricade su Massimo Ambrosini, classe 1977, una vita al Milan, senatore spesso bistrattato e ancor più spesso sfortunato se non altro per la valanga di infortuni che hanno costellato soprattutto la prima parte della sua lunga carriera. Silenzioso, parole centellinate, non verrà certo ricordato come baluardo della fascia da guru negli annali rossoneri, ma, va anche detto, ha il merito di aver legato il suo nome a quello del Diavolo in un flusso temporale ininterrotto che, salvo la breve parentesi di Vicenza, dura dal 1995. Quasi due decenni.

Non che l’ambiente sia sempre stato tenero con lui: Ambrosini, per chi non se lo ricorda, è stato il primo a “beneficiare” dell’austerity rossonera per gli over 30 con uno stipendio che, ad oggi, si aggira attorno al milione di euro e prevede, capitano sì capitano no, un eventuale prolungamento del contratto non superiore a un anno. Ma “Ambro” è stato anche al centro di polemiche abbastanza pretestuose, diciamolo, per quel famoso striscione anti-interista nella festa Champions 2007, che invitava i cugini a sventolare altrove (diciamo altrove) la conquista dell’alloro nazionale. Personaggio controverso, dunque, non certo il capitano tipo, ma nemmeno uno che merita di essere relegato a un ingresso di pochi minuti (a risultato acquisito) a Catania giusto una settimana fa. E che dire dell’unzione presidenziale nei confronti di Montolivo? Poco stile, una volta tanto, da parte di Silvio Berlusconi, da sempre meticoloso in situazioni di questo genere. Poca riconoscenza da parte di un club che su questo valore ha costruito la sua storia negli ultimi trent’anni e non solo.

Certo, poi c’è la partita di martedì con lo Zenit: inutile, senza pretese, poco più che un allenamento, ma che ha raccontato un Ambrosini quasi delegittimato e svuotato del suo ruolo. Nel centrocampo che ha guidato per molti anni, nel gelo di San Siro è sembrato perso per lunghi tratti, nell’azione del gol di Danny era palesemente in ritardo di copertura e in attacco non si è proposto come i tempi migliori, nemmeno sugli amati calci d’angolo. Le trentacinque primavere si sentono sul suo corpo che non può chiaramente più disputare una partita ogni tre giorni, ma che a fine anno rischia di non disputarne proprio più. Almeno in rossonero. Sirene americane, le solite, le stesse di un altro ex come Nesta tanto per intenderci, accompagnate dalla voglia, ma anche dal coraggio di provare qualcosa di nuovo dopo diciassette anni. Quel coraggio, tra l’altro, che lo stesso capitano, come documentai personalmente su SpazioMilan.it, attribuì quest’estate a un tifoso che decise di rinnovare l’abbonamento al campionato dopo la sconfitta nel “Trofeo Berlusconi” con la Juventus. Capitano tradizionale non proprio, lungimirante senz’altro.

(Christian Pradelli, per IlSussidiario.net)

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