Modulo inadatto, gambe pesanti: non é stato il solito Ricky. L’analisi

Lo vedi subito, quando non è in giornata. Lo vedi subito, quando non è in partita e fa fatica a trovare spazio. Sbaglia anche le giocate più elementari, perde anche i palloni più semplici, rimane ingabbiato nella sua incapacità di incidere, nel suo dispiacere e nella sua voglia di far bene, che a differenza di altri casi illustri non manca davvero mai. Milan-Udinese è stata indubbiamente la partita peggiore disputata da Ricardo Kakà da quando è tornato a Milanello, per tanti motivi. Legati ad una forma non ottimale, certo, ma anche ad modulo che a lui sembra tutto, fuorché congegnale.

Il cambio in panchina ha apportato evidenti e sicuramente non ancora digerite importanti novità dal punto di vista tattico e questo Kakà lo sta patendo, tanto. Clarence Seedorf, infatti, ha rimescolato le carte e ha proposto sin dalle prime uscite un Milan a trazione anteriore, con tanti e variegati interpreti sul fronte offensivo. Tante anime, si sa, spesso e volentieri fanno però fatica a convivere: il brasiliano, così, si è ritrovato spesso e volentieri a dover giocare da fermo, per non invadere il territorio. E per uno come lui, che ha costruito su accelerazioni, corsa e movimento un’intera carriera, le difficoltà appaiono evidenti.

Questo Milan, però, uno come Ricardo Kakà deve ritrovarlo subito. Perché le trame d’attacco più interessanti, in questa prima sciagurata parte di stagione, sono passate tutte da suoi piedi. Perché da quando è calato dal punto di vista fisico sperare in qualche giocata degna di rilievo sembra esser diventata una chimera. Perché per far creare il già citato Milan a trazione interiore non servono tanti attaccanti, ma servono almeno un paio di interpreti davvero degni di questo nome. Interpreti che non si pestino i piedi, che sappiano prendere in mano la squadra in questo momento di buio totale, che non si lascino trasportare dall’amarezza e dalla paura. Serve, insomma, il miglior Kakà: di piedi, di testa, di corsa. Sistemarlo nella posizione che gli permetta di rendere al meglio diventa un obbligo, non soltanto un’ipotesi tra le tante. Perché lui, a differenza di altri, la differenza può farla. Può farla davvero.

 

 

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