Le verità di Maldini e le difficoltà di Seedorf: questo Milan avrebbe bisogno di gente “poco milanista”

Piermaurizio Di Rienzo è giornalista professionista dal 2006 e coordinatore dei contenuti di SpazioMilan.it dal 2012. Dopo quasi un decennio di redazioni (Il Giornale, Leggo, Libero, Radio Lombardia e Sole24Ore), si è occupato per oltre due anni della comunicazione di alcune tra le più importanti manifestazioni fieristiche italiane prima di intraprendere l’attuale strada di Food&Beverage Manager a Milano. Conduce il varietà sportivo “Falla Girare” ogni domenica su Radio Reporter.

Sono tante le interpretazioni che si stanno provando a dare all’atteggiamento fin qui mostrato da Clarence Seedorf alla prima esperienza in panchina. C’è chi dice che non è maturo per allenare perché si sente ancora giocatore. C’è chi sostiene che abbia un suo modo particolare di formare il gruppo, a suon di “carote” più che “bastoni”. Come sempre, la verità sta nel mezzo, con una variabile non indifferente: il tecnico olandese non ci sta capendo molto di questo Milan, ma non è l’unico a trovarsi in questa situazione.

Sulla gestione di Mario Balotelli, però, la domanda sorge spontanea: come si sarebbe comportato il Seedorf giocatore-uomo spogliatoio nei confronti prima del compagno Balotelli e poi dell’allenatore di turno tollerante con gli atteggiamenti di SuperMario? Diciamo che il Seedorf giocatore se la prendeva per molto meno. Celebri i suoi litigi con Carlo Ancelotti. Altrettanto celebri i suoi alti e bassi col pubblico. Probabilmente anche la “tolleranza” con Balotelli è figlia di una confusione. Era giusto, infatti, prendere il treno in corsa pochi mesi prima di quando era già stato stabilito salirci, ma la confusione regna sovrana.

Come sono evidenti le nubi che offuscano le idee (se ce ne sono) della dirigenza di questo Milan, a partire dalla proprietà. Qual è la strategia? Qual è la linea? Qual è la programmazione? Ha ragione Paolo Maldini quando, tra uno sfogo e l’altro, afferma l’inesistenza di un progetto. E qui vorrei mestamente sottolineare che il ritorno di Kakà, visto con distacco temporale e sentimentale, ha sempre più il sapore di una mossa “disperata” per rinfrancare le truppe. Così come ha ragione chi rimarca il fatto che la malattia del Milan è arrivata ormai alla cancrena, ma i segnali c’erano stati. Anche l’anno scorso. Anche due anni fa. Proprio il mancato “progetto” ha fatto precipitare la situazione allo stato attuale. Nel 96/97 e nel 97/98, annate nere per il Milan che rimase due anni fuori dall’Europa, Silvio Berlusconi provò le carte dei ritorni: Arrigo Sacchi prima, Fabio Capello dopo. Risultato: disastro totale. E tanto per perseverare, anche se in chiave differente, ecco Clarence Seedorf quasi vent’anni dopo. Ecco, forse adesso ci sarebbe voluto un uomo “poco milanista”, ma molto concreto. Un po’ come fu a suo tempo Alberto Zaccheroni. Perché non sempre i ricorsi devono essere negativi…

Twitter: @PierDiRienzo

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