Al Bernabeu si gioca al calcio vero, quello che qui non esiste più

A cosa serve un 1-1 insipido e privo di emozioni in casa di una squadra reduce sì dal successo di Cagliari, ma comunque in crisi d’identità e in perenne conflitto con il suo pubblico? A poco, molto poco. Lo sa questo ennesimo Milan deludente e incolore, lo sa benissimo il suo condottiero Clarence Seedorf, ora più che mai aggrappato alla sfida di mercoledì sera del Franchi contro la Fiorentina.

Il pareggio ottenuto ieri sera, insomma, è servito unicamente a due scopi: smuovere una classifica che iniziava a chiedere pietà, ferma ormai a 35 punti dal 23 febbraio e resa ancor più critica dalla micidiale cinquina della Sampdoria, dare qualche giorno di respiro al sempre più traballante tecnico olandese.

E il resto? Possiamo salvare ben poco, inutile negarlo. C’è la voglia e l’esemplare impegno di Ricky Kakà, sempre decisivo e sul pezzo anche in una stagione fallimentare, c’è la consapevolezza di non esser andati in barca mentalmente, come un po’ tutti temevamo, dopo il pareggio siglato da Gonzalez. Parlare d’altro, cercare qualcosa di più, però, ora come ora è veramente difficile.

La manovra lenta, involuta, privi di spunti degni di nota per larghi sprazzi di match espressa dalle due squadre risultava ancora più evidente se, anche solo per un attimo, si decideva di dare una sbirciatina a quanto avveniva, parallelamente, nella stellare sfida del Santiago Berbabeu tra Real Madrid e Barcellona. Fraseggi stretti in velocità, precisione negli scambi di prima, tocchi di palla simili a carezze: sembrava, senza esagerare, di vedere una partita giocata a velocità doppia. Sbagliato fare paragoni di questo tipo? Forse, ma non dimentichiamoci mai che questo Milan nel giro di qualche tempo vorrà, dovrà tornare grande. Che per farlo non bisogna crogiolarsi nella mediocrità, ma guardare ai migliori. Che la strada per tornare al vertice è lunghissima e, per percorrerla, servirà davvero l’aiuto di tutti.

 

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