E’ il Milan della logica di Galliani e del buon senso di Tassotti. Da giugno speriamo in Kakà e Pippo…

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Partiamo dall’unica gioia di quest’anno per noi tifosi rossoneri. Gioia che ha un nome, un cognome e un cuore, a differenza di molti altri: Ricardo Kakà. Godiamoci le sue due perle contro il Chievo e l’ennesima prestazione da capitano innamorato di questi colori, ma soprattutto pensiamo alle sue sinistre parole del prepartita.

“Potrei andare in America“, ha detto Ricky. Notare: in America a 32 anni, non alla Juve o alla Fiorentina a 37. Due ragioni per queste dichiarazioni. La prima, la meno poetica: per tornare al Milan qualche mese fa Ricky ha rinunciato a quasi metà ingaggio del Real e ora non vuol subire un’ulteriore decurtazione del 20% figlia della mancata qualificazione alla Champions. Per questo motivo ha voluto l’inserimento della clausola di rescissione unilaterale in caso di estromissione della squadra dalla Grande Europa. Per risolvere questo problema é sufficiente aggirare l’ostacolo della decurtazione, per Kakà e solo per Kakà è un’eccezione che si può fare. Anche i compagni comprenderebbero. Risolto questo problema esaminiamo la seconda questione più profonda. Nel 2009 Ricky ha lasciato una società organizzatissima, molto unita, con grandi campioni, un bravissimo allenatore e un presidente munifico. Quattro anni dopo che Milan ha trovato? Diciamoci la verità: in questa stagione abbiamo fatto vedere il peggio. A Milanello, in sede, via Turati o Portello che sia, San Siro e Arcore. Separati da guerre intestine, disorganizzati, con allenatori esonerati o esonerandi, dirigenti dimissionari o dimissionati, giocatori che se ne fregano o sono scarsi. Contestazioni continue. E un presidente che ha messo (forse) le cose a posto soltanto nell’incontro del 18 marzo, un po’ tardino per una stagione cominciata 8 mesi prima. Giustamente Ricky si è guardato attorno e si è detto: “Ma io in questo circo che ci sto a fare?. Lui che anche quest’anno, anche nei momenti piú biechi, ha provato a tenere in alto i nostri gloriosi colori. Allora cerchiamo di dare a Ricky la parvenza di un progetto serio per la prossima stagione in modo da convincerlo che la sua America é sempre il Milan. Perdere lui sarebbe la beffa finale di quest’anno. Anche perché Kakà è uno dei pochi a cui affidare la guida e l’esempio per ripartire e ricostruire un Milan degno di tal nome.

“Ripartire” è il verbo usato nel fatidico incontro dello scorso 18 marzo ad Arcore, presenti FINALMENTE entrambi gli amministratori delegati e alcuni esponenti dello spogliatoio, non Seedorf. E già questo dovrebbe far riflettere. Il summit si è reso necessario dopo la sconfitta interna col Parma, il punto piú basso dell’era Berlusconi, una delle pochissime volte in uci sembrava che la squadra giocasse “contro” se stessa. Allarme totale che finalmente è scattato. E Silvio Berlusconi, dopo aver chiesto consulto a tutte le componenti ha deciso di ridare totale fiducia e pieni poteri al caro vecchio Adriano Galliani. Anche perché nella condanna degli innovativi metodi seedorfiani erano tutti e tutte d’accordo. Incredibile ma vero, l’inadeguatezza di Seedorf ha messo tutti d’accordo, e finalmente in questo finale di campionato diamo la parvenza di remare tutti dalla stessa parte. Che questo Milan da sette punti in tre partite e da obiettivo Europa League non abbia nulla del Milan di Seedorf è lì da vedere. Anche se qualche tifoso superficialotto e qualche poderoso opinionista si sforzerà di dimostrare il contrario aizzando le folle per sentirsi meno solo e per servire amichetti a caccia di contratti.

Clarence aveva impostato una filosofia di gioco basata sul possesso palla, sul pressing altissimo, sul recupero palla oltre il centrocampo, sulla rete di passaggi al limite dell’area avversaria con 4 uomini stabilmente oltre la linea del pallone. Da tre partite invece il Milan gioca con i quattro difensori bloccati, terzini inclusi, tutti e undici a correre dietro la linea del pallone, compreso Balotelli, senza pressing, ma con grandi ripartenze in stile Allegri. Guarda caso con questo modo di giocare meno spettacolare e meno da grande squadra, ma più logico e più umile abbiamo preso un gol in tre partite, due delle quali vinte. Guarda caso i nostri difensori, anche i piú scarsi, non sembrano tacchini da grigliare e guarda caso con questo gioco é tornato a suo agio Kaká, prima schiacciato da compagni e avversari.

Di sicuro questo atteggiamento tattico non è quello di Bayern e Barcellona e di sicuro cosí non si vince la Champions, ma ci si affida a contropiede ed episodi. Negli episodi però noi abbiamo il numero uno del nostro campionato, Mario Balotelli. E prima di privarcene pensiamoci 1000 volte. Anche a me, come a tutti i tifosi e al buon Seedorf piacerebbe andare al Vicente Calderon e imporre il gioco come Real o Barça, ma non é questo il tempo e non é questo il Milan. Non ci sono i giocatori e nemmeno i soldi per comprarli e pagarli. Quindi dobbiamo essere umili e cominciare a battere Parma e Sassuolo per poi sperare un giorno di riuscire a farlo anche con Barça e Real. Per questo motivo il progetto Seedorf è fallito e, anche se nessuno vuole ammetterlo, il Milan che vediamo in queste ultime partite è il Milan della logica di Galliani e del buon senso tattico di Tassotti. Speriamo che da giugno ci siano ancora il cuore di Kakà e la voglia di vincere di Pippo Inzaghi.

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