Caro Pippo, adesso sono tutti scontenti. E tu sei il primo

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Purtroppo da OiOiOi siamo passati ad AhiAhiAhi. Personalmente credevamo che Pippo Inzaghi fosse l’uomo giusto per mettere d’accordo tutte le componenti che in questi ultimi anni hanno messo in discussione la proverbiale compattezza del Milan. Inzaghi era l’allenatore di tutti: stimato e portato in un palmo di mano da Galliani, gradito a Barbara, apprezzato come calciatore dal presidente, amato dai tifosi e ben accetto dallo spogliatoio dopo la positiva esperienza in Primavera. Insomma sulla carta era la perfetta risposta all’allenatore che in pochi mesi era riuscito a mettere tutti d’accordo nel volerlo mandare via: nel marzo 2014 papà e figlia, Galliani e squadra, tutti avevano deciso che doveva finire subito l’era Seedorf. Inoltre – dettaglio non da poco – lo stipendio di Inzaghi non incide in maniera congrua sul bilancio e cerca di farsi ben volere da tutti.

Ma forse proprio questa esigenza di “accontentare tutti” è stato il suo più grande limite da allenatore in embrione. Ora sono tutti scontenti, lui per primo, che voleva e vorrebbe dare una mano al suo amato Milan. Non ce la sta facendo, non per cattiva volontà, ma perché ormai è in confusione. E quel che è peggio, con lui e come lui la squadra. I giocatori sono i primi ad essere sbigottiti. La loro palla torna sempre indietro e loro si arrangiano in campo. Sotto esame anche la continuità degli umori di Superpippo. Vuole fortemente Van Ginkel, arriva e dopo due settimane è troppo giovane per giocare. Vuole a tutti i costi Armero, arriva e dopo due settimane è inadeguato. Fernando Torres e Pazzini: uno ha perso e l’altro sta perdendo entusiasmo/motivazioni. Così come, temiamo, Montolivo e Muntari.

Gli altri spunti arrivano dalla stretta attualità. E ancora, che senso ha andare a Torino ad attaccare la Juve con pressing e difesa a centrocampo e poi 7 giorni dopo difendersi e ripartire in contropiede in casa contro l’Empoli? Domande che non trovano risposte. L’unico comune denominatore degli ultimi 40 giorni di Pippo è la “casualità. Contro il Cesena tornerà Montolivo. Siamo sicuri che si insisterà sul 4-4-2, il cui apprendimento sta costando punti al Milan secondo il suo allenatore, o si virerà ancora sul 4-3-3? Ovviamente non è lui il primo responsabile del tourbillon e dei 30 punti in classifica, ma è altrettanto vero che nei suoi confronti il Milan è tornato il Milan. Sull’allenatore la società a tutti i livelli è stata ferma e compatta nella protezione e nella tutela. E questa non è una attenuante. Anzi.

Il vero peccato è che questo organico ha davvero ottime qualità. Inespresse, mal gestite e organizzate. Ognuno va per contro proprio, ma se ci fosse un minimo di unità di intenti, come c’era più o meno fino a dicembre, il valore dell’organico consentirebbe di lottare davvero per il terzo posto. I risultati delle ultime giornate nel campionato del “ciapa no’” sono lì a dimostrarlo. Questa considerazione dovrebbe farci ben sperare almeno per la prossima stagione, quando avremo di certo un altro allenatore. Due sono i nomi possibili: la soluzione più ambiziosa e costosa che però prevederebbe un ribaltone federale ed è quella legata ad Antonio Conte. E in alternativa il buon Donadoni, che potrebbe portare un po’ di buon senso, merce davvero rara ultimamente a Milanello e dintorni.

A questo proposito negli ultimi giorni il mondo rossonero non si aggrappa più alle speranze sportive, ma al sogno che arrivi un magnate dall’Estremo Oriente che faccia tornare il Milan ai fasti recenti. Almeno cerchiamo di non “litigare” anche su questo, laddove ognuno porta il suo candidato “riccone” a costo di inventarsi nome e nazionalità, basta che abbia occhi a mandorla e fantamilioni tipo Monopoli. Chi cerca di tenere gli occhi aperti si accorge che questo assomiglia più al “Gioco dell’Oca”. Posto che di investitori stranieri se ne parla da anni ma ancora non se n’è visto davvero nemmeno uno, in questo caotico calcio italiano dove sono corrotte anche le battaglie di principio. E dove sarebbe meglio che ognuno fosse Iodice, ops “giudice” di se stesso.

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