Stella stai

Nuovo appuntamento con Sympathy for the Devil:Milan, storie e rock and roll: uno spazio a cavallo tra passato, presente e future al ritmo di un brano che evoca più di una suggestione sull’argomento proposto.

STELLA STAI, UMBERTO TOZZI (2000)
“Che torno a fare a questa porta
Voglio tenerti tra le mie brac-cia!
Altrimenti torno a lei
Lo sai, per questo Stella stai
Scivola, scivola, scivola, scivola…
Per sospirarti di più – stai, stai, stai”.

Niente da fare, è come l’ora legale, due volte all’anno capita e due volte all’anno devi quindi sentire le stesse storie, gli stessi ritornelli. C’è il Verona alle porte, e allora via, dlin-dlon, attenzione, si ricorda ai signori tifosi del Milan che il Verona è la nostra bestia nera e che avremo quindi a che fare con il Fatal Verona. Variante usata quando si gioca in casa e non si può ricorrere all’originale, “la Fatal Verona”. Piuttosto che niente, con il Diavolo nostro in questa posizione della classifica descrivibile come “inutile”, stanno tirando fuori che stavolta Verona potrebbe essere fatale per mister Pippo: sarà pure vero, e io mi permetto di aggiungere sommessamente che è triste più che fatale, almeno una volta ‘sti spauracchi li agitavi per uno scudetto, una qualificazione Champions. Cosa vuoi che sia un mister di fronte a quelle ombre del passato, il furto con scasso di scudetto del 1990 (e quel Marco che si toglie la maglia autoespellendosi) e lo psicodramma non proprio totalmente spontaneo del 1973, il 5-3 per capirci. Due omicidi-suicidi al Bentegodi (per i cuori rossi e neri il nome più assurdo, godere cosa, chi, non certo noi), il secondo – lo sanno anche i virgulti dello shintoismo milanista – costò la Stella, ed è una storia che prima o poi bisognerà raccontare per benino.

Ma come ci sono stati i Verona-Milan, ci sono stati anche i Milan-Verona, ovvero delle brutte storie a lieto fine: e fantasmi e bestie nere allontanate non solo con la forza del destino e della volontà. Si allude qui a quella partita di San Siro in cui, sei anni dopo la stramaledettissima domenica 20 maggio, tra il rossonero e la Stella si paravano ancora una volta loro, quelli dell’Hellas. Che per noi erano diventati Hell As Verona, l’inferno come il Verona, in english. È aprile, 22 per la precisione, festa con tanto sole al Tempio. Pienone perché all’epoca allo stadio si andava e perché, soprattutto, mancano 4 sole giornate alla fine e la squadra, diretta dal Barone Nils Liedholm, vede in fondo al rettilineo l’insperato traguardo tricolore. C’è il Verona come ostacolo numero 27 del percorso e non si riesce ad avere manco la paura di prammatica, perché i gialloblu sono già con entrambe le scarpe in Serie B, retrocessi, condannati. Dalla Curva Sud ancora così giovane, pencola uno striscione sul tema grondante simpatia, “Addio bastardi“, c’è scritto, accompagnato dal coro “Il 5-3 non lo scordiamo – bastardo veronese – ti massacriamo”. Il Milan, invece, è reduce da una fondamentale vittoria a Torino sul Toro che ha consentito di mantenere a due punti il miracoloso Perugia di Castagner, ormai unico interlocutore per il titolo. A ringalluzzire ulteriormente il popolo cacciavite c’è l’annunciato ritorno in campo di Gianni Rivera, fuori per infortunio proprio dalla partita d’andata. Il tifo saluta il messia, il pastore del gregge rossonero: nel Verona fintoderelitto, invece, c’è la pecora nera, Egidio Calloni, lo “Sciagurato” (che soprannome del kaiser, scusateci Maestro Brera e Maestro Manzoni) sparato via come un proiettile l’estate precedente nel sollievo milanista generale. E per cui immaginatevi le facce dei presenti quando proprio lui, che l’anno precedente aveva bisogno di un sistema braille per vedere le porte, infila a metà primo tempo un gran sinistro che lascia di sasso Albertosi. Ha una reazione strana, l’Egidio. Abbassa la testa, stringe i pugni, tutti la interpretano come atto di disperazione. “Ma come, proprio oggi dovevo segnare, contro il mio Milan?“. Una beata, ragazzi, non è così: già negli spogliatoi – e in più interviste negli anni – l’ex cannoniere (sissignori) rossonero spiegherà che invece era gioia, senso di rivalsa, ultima dimostrazione del proprio valore verso l’ingrato e malvagio San Siro. Punito, così, in maniera bruciante.

A proposito di spogliatoi. Intervallo, interno stadio. Il punteggio è Milan-Verona 0-1. Lo stesso di Catanzaro, dove il Perugia sta vincendo. È clamoroso aggancio, e allora via con i cattivi pensieri, e le ingiurie verso lo stramaledetto Verona, che sembra stare al mondo solo per bestemmiare il Milan. Però, le esperienze – specie quelle traumatiche – insegnano. Nel 1973, in quel pomeriggio osceno, nessuno della banda Rocco, a cominciare dal presidente Buticchi, decise di andare in visita nello stanzone gialloblu a chiedere clemenza, trattare, insomma ottenere un cessate il fuoco in cambio di qualcosa, magari con la q maiuscola. E dire che quella volta, il punteggio era sull’1-3. Forse qualcuno sapeva che certi conti li aveva già fatti qualcun altro, forse c’era la certezza mista alla presunzione di essere il Milan, e di potere rialzarsi con la propria forza, le proprie gambe. Nella pancia di San Siro, 71 mesi dopo, nessuno fa questo tipo di ragionamenti, e fuori ci sono 60mila persone semidisperate. La processione avviene, e la porte del Verona si aprono. La porta dello spogliatoio, la porta della coscienza sporca del 1973, la porta della cassa, chi sa. Una fonte affidabilissima ha rivelato il peccato, non i peccatori e il loro prezzo. Certo è che il presidente degli scaligeri era Garonzi, lo stesso del 5-3, che ben sapeva cosa era successo dietro le quinte. Una volta ok, due no, dai. Fatto sta, che appena tornati in campo, si apre la porta più importante, quella sotto la Curva Sud. Il destino, il caso, il ruolo, chi lo sa, fa sì che sia proprio il rientrante capitan Rivera, inesistente nei primi 45′, a cominciare il ribaltone dopo due minuti due della ripresa. E che sia Novellino, non proprio un ariete, a inzuccare, a quattro passi dalla linea bianca, libero come l’aria, il cross di Buriani a 4 minuti dalla fine. Liedholm, con quella straordinaria ironia che lo caratterizzava, dirà ai giornalisti che “Buriani ha messo una bella palla rasoterra e Novellino ha segnato di testa”. Nel frattempo, il Catanzaro ha riagguantato il Perugia, il divario si allarga a 3 punti a tre giornate dalla fine. E San Siro anticipa di tre giorni la festa della Liberazione. La Stella, scomparsa nell’angoscia di tutti un’ora prima, è lì, brillante, gialla, nel cielo azzurrissimo con le sue cinque punte, col triangolino tricolore appena sotto. Planerà sul campo due settimane dopo in uno stadio indimenticabile, mai più così rossonero, il giorno delle bandiere, 11 anni di interminabile attesa e Rivera col microfono che arringa la folla strabocchevole, che rischia per troppo amore di fare saltare tutto. Il giorno dello scudetto e di un po’ di commozione col Bologna. Uno 0-0 strapilotato che non ebbe bisogno di nessun incontro al chiuso, uno sguardo, un cenno d’intesa e tutti felici. Con un pensiero lontano, grato e forse non gratis, al maledetto Verona, che per una volta – ricompensato eh? – ebbe un po’ di “Sympathy for the Devil”.

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