Sarà proprio come ricominciare: che spareggio-Europa con la Samp

Appuntamento con Sympathy for the Devil:Milan, storie e rock and roll: uno spazio a cavallo tra passato, presente e future al ritmo di un brano che evoca più di una suggestione sull’argomento proposto.

JUST LIKE STARTING OVER, JOHN LENNON (1980)
“La nostra vita insieme è preziosa, insieme
Siamo cresciuti, siamo cresciuti
E se il nostro amore è ancora speciale,
diamoci ancora una possibilità di volare via
da qualche parte. Si riparte”.

Dall’ovetto di Pasqua di Palermo è uscita la sorpresa di una vittoria, un regalino-ino-ino che non ci si aspettava. La partita con la Samp di domenica sera avrà sopra un po’ di sale, sale europeo, tre punti che potenzialmente potrebbero riavvicinare sul serio il sergente (ehm) Inzaghi e la sua banda dei calciatori solitari a un traguardo a cui ormai, francamente, non pensava più nessuno manco in via Aldo Rossi. Milan-Sampdoria, spareggio per l’Europa, titoleranno i giornali colorati e non da qui a sabato. E chi è appassionato di corsi e ricorsi storici, spera di cogliere in questa etichetta un nuovo inizio, lo stesso messaggio che in un giorno di primavera 1987, in una confusione bella, iniettata dalla gioia, nessuno capì. Ma che anticipava un mucchio di cose belle a venire.

Era stato proprio un bel pomeriggio, caldo, ormai estivo. Tutti a Torino, la curva Maratona del vecchio Comunale come un muro rosso e nero, come ogni volta che c’era da andare a prendersi a testate con la Juventus. Tutti lì per lo spareggio di qualificazione alla Coppa Uefa 1987/88 tra Milan e Sampdoria, l’ultima e definitiva tappa del primo Milan di Berlusconi. Un boeing nuovo di zecca mai decollato tra inciampi assortiti, incapacità – anche naturale, se ci si pensa – di vestire da subito i panni della grande. La sapiente e flemmatica esperienza di Nils Liedholm come il perfetto opposto della voglia matta del nuovo presidentissimo: una convivenza difficile che sfociò nell’esonero del mahatma svedese, otto giorni dopo una partita di San Siro proprio con la Samp condita da sconfitta (0-2), assalto dei tifosi a Liddas con vetro della panchina rotto, scontri a cinghiate tra ultras in pieno secondo anello lato tabellone, il tutto in condizioni climatiche da inferi. Era fine marzo, e l’urlo primordiale del Diavolo fininvestino rischiava seriamente di trasformarsi in un miagolio lamentoso: dalla super campagna acquisti e lo sbarco in elicottero alla prospettiva reale del primo fallimento sottoforma del mancato aggancio all’Europa, giudicato fondamentale per la costruzione dell’appeal del nuovo Milan. A cinque giornate dalla fine, con una squadra sfilacciata anche dalle voci di mercato (già si sapeva di Gullit, Van Basten, Sacchi: e correvano nomi importanti di ogni tipo), serviva un marine pronto a tutto per cercare di salvare la non-corazzata. E Berlusconi, pare anche contro qualche parere interno al team, puntò per la prima volta su Fabio Capello, secondo di Liedholm dopo qualche anno di felice gavetta nelle giovanili rossonere. Cinque partite per raggiungere la prima “mission” e anche come spot – altra parola cara alla proprietà – delle proprie capacità: il futuro “Don Fabio” riuscì a perdere solo a Napoli, causa uno straordinario gol di Maradona (lo rivedete a ogni servizio celebrativo del Pibe, è quello dove sdraia nell’ordine i due Galli e quindi Maldini), battendo invece Torino e Roma – tripletta di Virdis, capocannoniere di quello strano campionato – e unghiandoquell’ultima chance di quinta piazza finale grazie alla regola che ancora voleva gli spareggi. Oggi, con la logica degli scontri diretti, l’Europa sarebbe giunta nelle case dei milanisti solo via catodica.

Il 23 maggio, tuttavia, il Milan si presentò allo showdown di Torino da sfavorito, causa assenze importanti (Giovanni Galli, Hateley) e maggiore peso specifico della Sampdoria, forte di Vialli, di Mancini, di Briegel, di Vierchowod e di tutto un cammino apparso più regolare e brillante nel gioco. Per non parlare, poi, del divario considerato incolmabile tra l’esperienza della vecchia volpe Boskov e del giovane lagunare Capello. Che invece, operò un filotto di scelte perfette lasciando fuori una punta (Nanu Galderisi, un mezzo disastro nella sua unica annata milanista), infoltendo il centrocampo con i muscoli e il fiato del 19enne Zanoncelli, suo allievo nella cantera milanelliana, e chiedendo a Massaro di inventarsi raccordo tra mediana e attacco per dare una mano a Virdis, insieme a Donadoni. Dietro, avrebbero pensato a tutto Franco Baresi e Paolo Maldini, anni 19 non compiuti. La Samp spaventò la Maratona rossonera con una traversa di testa del panzer Briegel, ma poi diventò gradualmente scotta dal sole e dalle maglie del pacchetto di mischia rossonero, in cui si persero per primi i gemelli Vialli-Mancini. Al supplementare, la gara di resistenza organizzata da Capello trovò la sua summa: allungo di un principesco Maldini per Tassotti sganciatosi a destra, cross con il contagiri per Massaro sul secondo palo, elevazione non straordinaria ma colpo di testa chirurgico, pensato, irraggiungibile anche per i lunghissimi tentacoli di Bistazzoni. La parte sampdoriana, giunta in forze come la Sud, arrotolò gli striscioni in cui si ironizzava sul destino amoroso delle giovani milanesi prossimamente in vacanza sui loro lidi: ed evitò di osservare il tripudio rossonero, guidato sotto la curva da Capello. Composto, sobrio, ma pur sempre sotto la curva.

Era “solo” un posto Uefa, certo. Ma per la prima volta dopo anni bui – eufemismo – il milanista visse la sensazione bella di avere vinto qualcosa: e riletta oggi, quella giornata, fu il trailer del kolossal che attese Diavolo e diavolisti nei seguenti 20 anni, almeno. Il primo di mille hurrà di Silvio Berlusconi, la prima partita secca con in palio qualcosa giocata e vinta; il primo gol pesante come il piombo di Daniele Massaro, in seguito non casualmente soprannominato “Provvidenza”; il primo capolavoro del pragmatismo di Fabio Capello che, in quell’occasione, non esitò a mandare a monte anni di marcature a zona targati Liedholm per tornare, in una situazione così importante, al francobollamento“ad personam”. Milan-Sampdoria, infatti, è agli archivi anche come l’ultima partita giocata “a uomo” dall’Associazione. Da lì in poi, sarà Arrigo Sacchi, già fermato e firmato prima dello sbarco sulla panchina del marine Fabio. Ed è già detto tutto. Stavolta, adesso e qui nel tempo, Milan-Sampdoria precede un cambio ancora più epocale e difficile, quello della proprietà, del graduale distacco verso quel giovane, munifico ed entusiasta presidente che negli spogliatoi di Torino baciò tutti ed elogiò “la grande voglia di vincere” dei suoi ragazzi. Sarebbe bellissimo vincere, 1-0, l’Europa sarebbe tutt’altro che conquistata, ma tornerebbe a materializzarsi insieme all’immagine di un domani diverso e più bello, cinesi o thailandesi che siano ricominciare esattamente dal punto di 28 anni fa, “just like starting over”. Dov’è Provvidenza? E’ libero domenica sera?

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