“Non sappiamo chi sia Yonghong Li”, parlano Yin, Tian e Wenyi. Nessun socio big, dubbi su Haixia e il governo: il reportage dalla Cina

In Cina ricordano ancora il Milan degli anni d’oro, ma nessuno conosce il cinese che vuole comprarselo: Li Yonghong. Questo è l’inizio di un maxi-reportage de La Gazzetta dello Sport, dopo un viaggio in Asia orientale con la precisa missione di scoprire più dettagli possibili sull’ormai nuova proprietà rossonera. Il presidente di Sino-Europe Sports non è l’unico compratore ma il solo ad essere uscito ufficialmente allo scoperto, insieme al fondo Haixia Capital, in occasione della firma del preliminare. Soprattutto è il regista dell’intera operazione, con il braccio destro Han Li. Si diceva che fosse billionaire e che possedesse due società quotate in Borsa, però non ci sono conferme sulla sua consistenza patrimoniale; anche perché gli affari si perdono in un reticolo di aziende e prestanome. “Non sappiamo chi sia Yonghong Li“, è la risposta più frequente di una pluralità di interlocutori nel campo del calcio e della finanza in Cina, intervistati proprio da GaSport.

Primo esempio: Feng Yin, titolare di Boafeng, società leader nei new media che, in joint venture con Everbright, ha recentemente messo le mani sull’agenzia di diritti sportivi MP&Silva. “Mai visto prima – racconta guardando la famosa immagina di Villa Certosa in compagnia di Silvia Berlusconi -,  ma ho sentito che la cordata sta cercando fondi a Shanghai“. Come se la partita del finanziamento dell’operazione, dopo i 100 milioni di acconto, non fosse già conclusa: in ballo restano 420 milioni, che Fininvest dovrà incassare a breve in cambio del 99.93% delle azioni rossonere. Secondo Sino-Europe, comunque, gli investitori sono stati definiti, i soldi sono in arrivo e il closing molto probabilmente verrà anticipato a novembre. Poi ecco il parere di James Tian, il quale coordina le acquisizioni di società estere per conto della Cicc, fra le principali banche d’affari del Paese: “Gli investitori non sono noti né player di primo livello della finanza. E non lavorano nell’industria sportiva. Per i cinesi è più coerente che i club di calcio vengano presi da società o imprenditori già avviati. Lo fanno in 2 modi: singolarmente o unendosi in un consorzio formato da massimo 4 grossi personaggi. L’azionariato diffuso non è di moda da queste parti“. Quindi il caso Milan appare davvero un unicum per la stessa Cina.

bandiera-della-cinaLa pensa così anche He Wenyi, direttore del centro di ricerca di sport cinese alla Peking University: “La struttura del gruppo che vuole il Milan non è tipica qui, è un caso di completamente diverso da quello di Suning con l’Inter: sembra un’operazione economica con l’obiettivo di guadagnarci in futuro, puntando sul fortissimo brand value del Diavolo e sull’enorme potenziale dei giovani consumatori del luogo“. Non si ha molta voglia di parlare dell’influenza del governo di Pechino nella vicenda, ma il Milan difficilmente sarà una questione di Stato perché, come aggiunge Wenyi, “il governo non finanzia l’acquisto di club europei ma dà solo un indirizzo a inserirsi nell’industria sportiva“. Tra gli investitori noti, Haixia Capital non è un fondo di Stato ma è controllato al 40% dalla provincia di Fujian: la differenza è sostanziale, specie per i budget. Haixia è basata a Fuzhou e nella capitale ha un ufficio in cui lavorano sei persone.

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