Montella: “Innamorato del Milan dalla Coppa Campioni dell’89. A Empoli mi sono arrabbiato, pretendo sempre attenzione. Nel 2017 spero di lavorare ancora con questa serenità. Sui giovani…”

Vincenzo Montella è il protagonista della copertina e del numero di Forza Milan!, il mensile ufficiale rossonero, di dicembre. Questa la sua intervista, nella quale si racconta.

Su com’è nata la passione per il Milan: “A influenzarmi è stato mio fratello Emanuele, di 4 anni più vecchio di me. Lui era tifoso rossonero, invece l’altro più grande preferiva il Napoli. Mi ricordo perfettamente la finale di Coppa dei Campioni con la Steaua Bucarest (1989): è stato quello il momento in cui mi sono innamorato di questi colori. A Napoli c’era Maradona, ma io aveva occhi solo per Van Basten e cercavo di imparare anche dai movimenti di Virdis”.

Ancora sul fratello Emanuele: “Il mio miglior consigliere. Mi ha seguito fin dai tempi in cui ho iniziato ad allenare a Catania e da allora continua a starmi vicino. Riesce ad avere una visione distaccata delle cose e il suo giudizio è sempre equilibrato. Mi è di grande aiuto per analizzare lucidamente certe situazioni, soprattutto al di fuori del campo di gioco”.

Su quanto la tecnologia ha modificato il mestiere di allenatore: “Non lo ha stravolto, ma lo ha sicuramente migliorato. Le ripresa e le rilevazioni di allenamenti e partite riescono a fornire più elementi di giudizio sulle prestazioni. Restano comunque degli strumenti, la sostanza del nostro lavoro non cambia”.

Cosa manca ai giovani per emergere? “Il calcio rispecchia il mondo di oggi. Per i ragazzi dei nostri tempi tutto è raggiungibile con maggiore facilità. Per fare carriera, però, c’è bisogno di tanto sacrificio, lavoro e pazienza. La strada per arrivare in alto nel calcio non è mai in diretta, soprattutto se al talento naturale non si unisce una grande filosofia del lavoro. Manca la spinta della famiglia? Leggevo una statistica: la maggior parte dei grandi campioni dello sport internazionale ha avuto genitori che non si sono intromessi nella carriera. Per un ragazzo avere grande pressione da parte della famiglia rischia di diventare una zavorra che difficilmente riesce a togliersi. I miei genitori mi hanno aiutato, si sono sempre ‘disinteressati’ dei risultati”.

Su se stesso: “Mi sono allontanato da casa molto giovane per inseguire un sogno, quindi ho dovuto rinunciare a un’adolescenza normale, sacrificando il rapporto con gli amici. Un difetto personale? Faccio fatica a esternare le mie emozioni, me lo rimproverano anche in famiglia e purtroppo hanno ragione. Un aspetto che devo migliorare”.

La sua ultima arrabbiatura: “A Empoli (ride, ndr). Però sono sempre legate al lavoro. In generale, quello che mi fa arrabbiare tanto è il fatto di vedere qualcuno mettere poca attenzione in quello che fa. Questo vale sia in campo che fuori”.

Si gioca per soldi e per passione? “Sono certo che chi si mette in gioco nel mondo del calcio lo faccia prima di tutto per passione. Non credo si possa giocare avendo come obiettivo principale quello di guadagnare tanto. I grandi guadagni sono una conseguenza della passione che uno riesce a mettere nello sport”.

Sugli allenatori: “Tra noi c’è grande rispetto ma, ovviamente, anche molta competizione. Bisogna cercare di superare chi ti trovi davanti attraverso le tue idee tattiche. Hai alcuni colleghi che sono punti di riferimento, ai quali cerchi di capire spunti e ispirazioni. I rapporti dipendono anche da come li hai costruiti nel tempo. Perdere non fa mai piacere. Onestamente, se dovessi perdere una finale di Champions preferirei farlo contro Di Francesco”.

montella-1-milan-udinese-spaziomilanBuoni propositi per il 2017: “Nulla in particolare. Ogni bene alle persone a cui sono affezionato e poi spero di poter continuare a svolgere il mio lavoro con la stessa serenità”.

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