SM ESCLUSIVO/ Il mental coach Civitarese: “Bonucci non si avvale più della consulenza di Ferrarini. Montella? Un parafulmine perché…”

Roberto Civitarese, classe 1970, ha fatto l’arbitro e anche il dirigente. E poi, dopo essersi perfezionato a livello manageriale, si è realizzato in una strada professionale particolare ma utile tanto quanto un allenatore, uno schema o una preparazione fisica: il mental coach. Dal 2007 fornisce un supporto nell’allenamento mentale dei suoi assistiti, importante quanto l’allenamento sul campo. A lui si rivolgono molti calciatori di tutte le categorie, dalla A alle giovanili. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare qualcosa sulla sua professione ed entrare un po’ più nel dettaglio di questo ruolo salito alla ribalta delle cronache negli ultimi giorni per la questione Bonucci.

Cosa ne pensa, da esterno ma da addetto ai lavori, del botta e risposta tra Bonucci e il suo ex mental coach Ferrarini? 
Possiamo dire in via del tutto generica che Bonucci ha vissuto una fase della propria carriera dove non giocando a Treviso, all’epoca in serie B, ha deciso di avvalersi della collaborazione del motivatore Ferrarini. Ed anche grazie a questo supporto, Bonucci è arrivato ad essere il calciatore che tutti conosciamo. Ad un certo punto il calciatore ha deciso di non avvalersi più della sua collaborazione. Ferrarini ha espresso un pensiero personale e come tale è lecito che Bonucci faccia sapere di non essere d’accordo evidenziando come non sia quello il suo pensiero“.

Innanzitutto, come si svolge all’atto pratico una seduta tra un mental coach e un calciatore? 
Occorre innanzitutto fare chiarezza sui termini: psicologo, motivatore, mental coach. Ho assistito a trasmissioni radiofoniche dove si mischiava spesso tutto. Noi la chiamiamo sessione di coaching. E’ un incontro individuale tra il coach e il calciatore attraverso il quale il calciatore manifesta quali sono sia i suoi punti di forza che le criticità che sta vivendo in una determinata fase della propria vita calcistica. Durante la sessione il calciatore mi racconta la situazione che lo ha portato a uno stato negativo. Un rigore sbagliato, una espulsione o un errore generico. Io aiuto il calciatore a fare chiarezza e gli fornisco gli strumenti che possano modificare il suo pensiero da negativo in positivo e di conseguenza il suo stato d’animo”.

Qual è  solitamente la difficoltà più grande che ha riscontrato nella testa di un giocatore o che si può riscontrare?
Ogni calciatore vive e affronta le situazioni in modo differente, il punto comune sta nel fatto che le difficoltà nascono dal pensiero negativo. La difficoltà non è grossa in quanto tale ma è grossa se ancorata nella testa. E questo dipende da quanto tu hai alimentato quel pensiero. Ci sono calciatori che vivono un errore oggettivamente negativo e lo superano in pochi minuti, altri invece faticano a a rimuoverlo. Per esempio ho lavorato con calciatori che hanno superato una rottura del crociato meglio di altri che stavano un mese senza segnare“.

Qual è la differenza, se esiste, tra la figura del mental coach e lo psicologo?
Lo psicologo è un terapeuta. Interviene sulla situazione di disagio e fa una terapia. Il coach fornisce gli strumenti al calciatore perché lui possa esprimere al massimo le sue potenzialità. Un neuro scienziato con cui mi sono confrontato, Giovanni Biggio, usa un termine specifico: muscolarizzazione del cervello. Sta a significare che il pensiero positivo allena il cervello a migliorare le performance; al contrario, il pensiero negativo lo atrofizza. Ecco, noi dobbiamo fornire gli strumenti per muscolarizzare il cervello. Noto molti critici verso Montella, visto come una sorta di parafulmine. Ma ci vuole del tempo per mettere in fila le cose. Manca un po’ di pazienza. Queste situazioni condizionano l’ambiente e lo stato d’animo del calciatore, che non ha quella giusta serenità“.

Cosa porta un giocatore ad avvicinarsi alla figura del mental coach ed eventualmente ad allontanarsene?
È la domanda che faccio generalmente al primo incontro e la risposta è sempre più o meno la stessa: la consapevolezza di non rendere rispetto alle proprie potenzialità. Come una macchina che va a 300 all’ora e si trova, per una serie di motivi, a non superare i 180.  Per quanto concerne l’allontanamento, è dovuto solo al fatto di ritenere compresi e appresi i meccanismi e le tecniche di allenamento mentale e di avere la sensazione di utilizzarli autonomamente“.

Pensa che nel calcio di oggi con tante partite ravvicinate sia sempre più complicato essere psicologicamente pronti?
Certamente sì. Perché anche l’energia mentale ha bisogno di tempi e situazioni di recupero. La tecnologia ha reso tutto velocissimo. Il cervello riceve messaggi, li codifica e crea una reazione. Nel calcio di tempo fa, se sbagliavi qualcosa, avevi tempo di pensarci e valutarla con più tempo. Oggi a partita finita invece puoi prendere il telefono in mano e vedere già una serie di informazioni. In questo modo il cervello è sempre in attività e dunque fatichi a recuperare“.

Come vede il futuro di questa professione?
Come diceva un Santo a me molto caro, San Vincenzo Grossi, “La strada è aperta…”. Non esiste un albo ma secondo me questo episodio relativo a Bonucci ha un po’ aperto la questione. Se si pensa che una volta non esisteva il preparatore atletico mentre oggi è parte integrante dello staff di qualsiasi club e lo si ritiene addirittura responsabile dei risultati di una squadra, come abbiamo visto nel caso Marra, presto si arriverà a comprendere come anche la testa condizioni i risultati e sarà quindi riconosciuto il mental coach come professionista incaricato di sviluppare questa area fondamentale, al pari dei preparatori tecnici, tattici e della area atletica. Ci vorrà del tempo ma credo succederà“.

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