Tunnel Milan: analisi di un delirio (non) annunciato

La crisi totale che sta attraversando il Milan sembra essere infinita. Ad ogni sconfitta ci si consola augurandosi di avere “finalmente” toccato il fondo. Ma anche quando pare che ci si cominci lentamente a risollevare, puntualmente si sbatte sempre più violentemente il muso contro una realtà deprimente. Tutte le attenuanti del caso, che i tifosi più razionali davano ad una società e ad una squadra fondamentalmente nuova visto il “reset”, avvenuto agli albori di questa stagione, sono crollate. La pazienza è finita. Aldilà del volume degli acquisti e alla mediaticità che ci ha un pò tutti travolti ed esaltati quest’estate, soprattutto dopo anni di parametri zero e mezze risposte (quando andava bene), abbiamo preso atto che questa squadra fondamentalmente non è stata costruita con un senso logico. “Sotto l’ombrellone” ci si vantava di aver allestito una rosa quasi camaleontica, che potesse in corso d’opera, a secondo delle necessità, mutare nei moduli e negli interpreti. Niente di più sbagliato.

A partire dalla difesa, reparto cardine nella costruzione di una squadra vincente o che ambisca a divenire tale. Fatto salvo Romagnoli per quando riguardava i titolari della passata stagione, il primo acquisto dell’era cinese è stato Musacchio, vecchio pallino di Montella seguito già nella precedente sessione di mercato estivo da Galliani. L’argentino, di piede destro, sulla carta doveva essere complementare all’ex romanista mancino, al centro della difesa. Sistemata la linea con gli arrivi di Ricardo Rodriguez prima e Conti poi, pur col timore di essere troppo votati ad offendere sulle corsie esterne, si pensava di aver assemblato un discreto reparto arretrato. E lo credevamo ancor più all’indomani dell’arrivo dei botti finali: da “l’occasione” Bonucci, che in rotta con Allegri decide di cambiare aria e sancire la fine della tanto famigerata “BBC” bianconera, a colui che forse è stato il calciatore più corteggiato dal duo Fassone-Mirabelli, quel Lucas Biglia al quale oltre alle stimmate del creatore di gioco si attribuivano ottime qualità da interditore. Questi, che dovevano essere parte della dorsale di certezze per dar tempo e modo agli altri innesti giovani e/o provenienti da campionati stranieri di adattarsi al salto in un top club e/o alla Serie A, sono al momento le due più grosse delusioni di questo moribondo Milan.

L’ex Juventus ha insinuato il dubbio (nella testa del tecnico e del direttore sportivo Mirabelli) che la disposizione migliore da adottare dietro fosse quella a 3, che lo sgravasse da compiti di marcatura per esaltarne le qualità in fase di impostazione. Dubbio che diventa diktat dopo la batosta subita all’Olimpico contro la Lazio, dove l’autore dell’hat trick Ciro Immobile ridicolizza letteralmente il numero 19 rossonero. Peccato che ai suoi lati sia Romagnoli che Musacchio non si distinguano per rapidità. Di fatti, spesso Montella all’ex Villareal ha preferito il redivivo Zapata o addirittura l’adattato Rodriguez. Mentre Biglia, già soggetto a problemi di natura fisica, è a tutt’oggi un pesce fuor d’acqua: zero gioco ed una sensazione di sufficienza che innervosisce. Emblematico che ad oggi il tanto vituperato ex capitano degradato Montolivo offra maggiori garanzie del nazionale argentino.

Il risultato è una difesa che, ad una giornata dal giro di boa, con le due reti subite sabato contro l’Atalanta recita 26 alla voce reti subite, esattamente il doppio della capolista Napoli. Un dato inaccettabile che, insieme a quello di un attacco poco prolifico, condanna il Milan all’anonimato del centro classifica.

Sacrificato Montella all’altare del popolo rossonero, che mal sopportava i risolini esibiti del tecnico di Pomigliano d’Arco durante le conferenze stampa, neanche la promozione in prima squadra di una super “bandiera” come Gattuso è servita per invertire la tendenza, anzi sembra ripetersi l’esperienza dell’avvicendamento Mihajlovic-Brocchi, quando i punti persi con squadre che di lì a poco avrebbero salutato la serie A, ci costarono l’accesso alle competizioni europee.

Tra campionato e coppe, nelle 5 gare con Ringhio in panchina, la media dei gol al passivo è di 2 a partita, il doppio considerando le gare nelle stesse competizioni con l’ex aereoplanino in sella. Chi doveva spostare gli equilibri (Bonucci) non lo ha fatto, se non in negativo; idem chi doveva compiere lo step da giovane promessa a conferma (Romagnoli); l’iniezione di grinta di Gattuso non ha dato frutti neanche nell’immediato, tantomeno il ritiro punitivo. Il gol di Brignoli nel recupero del Vigorito, le tre sberle incassate nella “fatal Verona”, i bergamaschi che banchettano tranquillamente a San Siro e fanno propri i tre punti sono solo le ultime umiliazioni di una stagione disgraziata, che sta assumendo sempre più i contorni dell’horror.

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