Il solito giochino: tutti responsabili, nessuno dimissionario

La pratica delle dimissioni, soprattutto in un Paese come l’Italia, è qualcosa di assai raro. E’ davvero difficile scovare nella storia (non solo dello sport) personaggi che si siano assunti la responsabilità di una sconfitta o di errore e ne abbiano tratto le naturali conseguenze. Troppo spesso si preferisce rimanere incollati alle poltrone. Nel calcio degli ultimi vent’anni ricordiamo pochi esempi. Marcello Lippi, tanto per citare uno che ha vinto tutto, lasciò la Nazionale dopo il disastroso Mondiale in Sudafrica. Lo stesso fece Cesare Prandelli quattro anni dopo. La premessa è d’obbligo per provare a formulare la seguente domanda: in questo Milan a dir poco disastroso chi si assume la responsabilità e toglie il disturbo?

In teoria, dopo la sconfitta di sabato contro l’Atalanta (l’ottava in diciotto gare di campionato), due personaggi si sono assunti la responsabilità del disastro: Rino Gattuso e Massimiliano Mirabelli. Eppure né l’allenatore, né il direttore sportivo hanno voluto trarre le conseguenze di queste ammissioni. Anche se, va detto, l’assunzione di responsabilità di Gattuso è piuttosto generosa, visto che ha preso in mano la squadra da poco più di un mese, senza aver deciso la preparazione e senza neppure aver concordato un acquisto la scorsa estate. Su Mirabelli – oggettivamente – pesa molto di più: dalla pianificazione del mercato al supporto alla squadra nel quotidiano. Qualcosa non torna.

Purtroppo temo che sarà dura vedere un Milan rimesso in sesto nel corso di questa stagione. Più che il derby di domani sera diventa appassionante (per qualcuno) il derby tra il popolo di chi sostiene “io l’avevo detto” e chi prova strenuamente a difendere scelte e strategie che diventano ogni giorno più indifendibili. Il capro espiatorio sembra essere Vincenzo Montella, che difficilmente tornerà a sedersi sulla panchina del Milan anche in caso di dimissioni o esonero di Gattuso. Prima o poi finiscono gli alibi. E’ la storia a dircelo.

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