Storia di un ex, Joe Jordan: gladiatore sdentato dal cuore impavido

Il suo caso è di quelli particolari: non era capitano, non era un bomber, con il Milan non ha vinto nulla, anzi, si è fatto pure un anno di serie B. É capitato accidentalmente nel peggior momento della storia rossonera, eppure Joseph (detto Joe) Jordan è nell’immaginario collettivo milanista uno dei più grandi.

Ha lasciato un segno, così come faranno pochi anni dopo gli altri britannici Mark Hateley e Ray Wilkins, per il suo indomito spirito di combattente tipico di chi viene dall’oltremanica. Non che la Corona abbia regalato sempre indiscussi idoli, pensiamo per esempio allo sciagurato Luther Blisset dal Watford, buono solo a mangiarsi i gol come faceva un altro sciagurato di nome Egidio, ma il Milan spaventato come un cucciolo dei primi anni Ottanta, reduce dalle batoste societarie e finanziarie e dalla cadetteria, aveva bisogno di personaggi di questo calibro.

Jordan aveva esordito nella squadra scozzese del Greenock Morton, e poi era passato al Leeds. I destini suoi e del Milan si erano già incrociati il 16 maggio del 1973 a Salonicco, durante la finale di Coppa Coppe che i rossoneri strapparono ai whites grazie a un gol di Chiarugi. Poi, nel 1975 Steven Spielberg mette in piedi una pellicola divenuta abbastanza nota, “Lo Squalo”, e il nostro, avendo perso gli incisivi superiori, entrava in campo senza la dentiera che utilizzava di solito, beccandosi come soprannome il titolo di quel film: diverrà per tutti i milanisti, lo squalo. Per il Leeds erano i ruggenti anni Settanta, quelli di Don Revie, di Johnny Giles, e del capitano Billy Bremner. Era “il maledetto United” del libro di David Peace, dei quarantaquattro giorni di Clough e tutto il resto. Jordan vi rimane fino al 1978, prima di passare al Manchester United dove andrà a segno altre trentasette volte in 109 partite disputate.

Alla riapertura delle frontiere nel 1981, arriva a Milano. I rossoneri sono appena risaliti dalla serie B inferta dalla giustizia sportiva dopo le vicende del calcioscommesse e c’è tanta voglia di tornare agli antichi fasti. Sulle maglie del Milan compare il primo sponsor, la Pooh, si indossano i pantaloncini rossi e per un breve periodo di tempo su iniziativa personale del club appariranno anche i primi nomi sulle maglie dei giocatori. L’arrivo dello scozzese nativo di Carluk, paralizza l’aeroporto di Linate: centinaia di tifosi rossoneri sono entusiasti nel dar lui il benvenuto.

Le grandi speranze riposte addosso a quel Milan, verranno ben presto disattese. Il Milan, questa volta sul campo, si trova di nuovo a dover fare i conti con lo spettro della serie B. Jordan gioca con continuità, i rossoneri perdono con pieno demerito una sfortunata partita a Torino con la Juventus con tre reti di Galderisi e segnano poco. Nel gennaio del 1982 viene esonerato l’allenatore Radice e dopo le disperate vittorie di Marassi col Genoa e di San Siro contro l’Avellino, entrambe con la firma del grande Aldo Maldera, al Milan serve una vittoria a Cesena l’ultima giornata e una contemporanea sconfitta dei rossoblu a Napoli per restare in serie A. È proprio “lo squalo” che dà il via alla rimonta in terra romagnola: i bianconeri vanno sul 2-0, lui accorcia le distanze e Romano e Antonelli ribaltano la situazione. Troppo tardi: il Genoa ha pareggiato a Napoli grazie a un regalo del portiere partenopeo Castellini. Jordan non abbandona il Milan in B, anzi: nella stagione 1982-83 segna dieci reti e contribuisce in pieno al ritorno immediato nella massima serie. Segna in campi quali Campobasso e Monza, e porta in vantaggio il Milan anche contro la Cavese, nella famosa partita che i campani ribaltano e vincono 2-1, il punto forse più basso in assoluto della storia rossonera e saluta al termine di quella stagione dopo due anni e venti reti.

Una volta chiuso col calcio giocato, Jordan inizia una carriera di allenatore in Gran Bretagna, seppur sempre come vice. Molti lo ricordano durante Milan-Tottenham del 2011, quando Gattuso andò muso a muso con lui (allora vice di Redknapp) prendendolo per il collo nel secondo tempo, accusandolo di ripetute provocazioni personali e contro la nazione italiana.

Non è questo però il ricordo che ci interessa, bensì un altro: c’era uno striscione in curva Sud ai suoi tempi, “Shark, kicks again for us”. Segna ancora per noi. Magari potesse farlo di nuovo. Ci sarebbe bisogno di teneri lottatori come Jordan nel calcio di oggi, per farlo tornare a essere uno sport romantico e non tutto creste e tatuaggi.

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