M come mediocrità: senza top player non si torna all’eccellenza

La frustrazione di Gonzalo Higuain è la fotografia di Milan-Juventus, ma non è l’unica considerazione emersa dalla gara. Sono tante le verità che ci ha lasciato questa partita, soprattutto sulla squadra di Gattuso. Si dice spesso che per percepire il proprio valore ci si debba misurare con chi è più forte, solo così si può accorciare il divario. Bene, il match con i bianconeri ha restituito alla cronaca un Milan con un’anima e una volontà, ma con un gap davvero ampio.

La differenza mentale, fisica e tecnica con le grandi è ancora abissale, e lo confermano i numeri degli scontri diretti del 2018: a parte le vittorie con Roma (battuta due volte) e Lazio, e il pareggio con Napoli e Inter a San Siro, il Milan ha sempre perso. Con Juve, Napoli, Inter, Arsenal. Con queste squadre, un tempo, i rossoneri pesavano le loro ambizioni, oggi, invece, fa solo presenza.

La squadra, in generale, sta migliorando, lo dicono i numeri, ma per fare la differenza ci vuole ben altro. Inoltre, il forfait di tanti giocatori titolari mette in evidenza l’insufficienza quantitativa e qualitativa della rosa. Un fattore dovuto non solo all’errore di puntare, per anni, a parametri zero che hanno appiattito il valore generale, ma anche al calo di appeal che ha avuto il Milan nel panorama calcistico internazionale, e che quindi non attira più i top player.

Attualmente, il Milan è una squadra mediocre, e questa sua condizione accresce l’impotenza e il senso di frustrazione dei suoi giocatori (vedi la reazione di Higuain), che percepiscono in prima persona le possibilità limitate della squadra. L’inversione di tendenza va fatta in termini di mentalità societaria, tornando a puntare in alto già nella fase di campagna acquisti.

Probabilmente serviranno anni per costruire di nuovo, mattone dopo mattone, un Milan d’eccellenza, ma è inutile perdere altro tempo a rattoppare la squadra: la mediocrità non porta da nessuna parte.

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