Se le ammissioni sono più gravi delle colpe

Il maldestro tentativo di uscire dall’angolo in cui si è messo rischia di diventare un boomerang per Marco Fassone. Il nome dell’ex amministratore delegato del Milan fa rima con una diatriba giudiziaria che difficilmente vedremo risolta in tempi brevi. Tra i motivi del licenziamento per “giusta causa” decretato dalla società lo scorso agosto ci sono anche decisioni come quelle di far pedinare quattro giornalisti “scomodi”. Eppure lo stesso Fassone ha voluto contrattaccare, spiegando di aver condiviso con il consiglio d’amministrazione l’incarico affidato all’agenzia investigativa di Carpi.

La difesa, dunque, si rivela un pieno attacco (anche e non solo) a Paolo Scaroni, che durante la proprietà cinese era un consigliere d’amministrazione del club e ora, con Elliott, è diventato presidente. E’ stato lui, infatti, a firmare la lettera di licenziamento consegnata a Fassone col quale si era provata una conciliazione extra-giudiziale sulla base di una generosa offerta di 10 milioni di euro. Nulla di fatto. Ora Fassone dice implicitamente che Scaroni sapeva dei pedinamenti e aveva avvallato la decisione. 

L’esito della vicenda è ancora incerto. Il Milan potrebbe alzare l’offerta per conciliare e chiudere tutto. Fassone, dal canto suo, difficilmente accetterà compromessi, nel tentativo di farsi dar ragione dal giudice che potrebbe addirittura decidere il reintegro della società. Ipotesi remota, quest’ultima, ma che tiene comunque aperta ogni soluzione. Senza escludere che l’ex ad possa vuotare il sacco e raccontare retroscena dell’anno più nebuloso della storia del Milan. 

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