Il sottilissimo confine tra gloria e fallimento: il paradosso del Gattuso allenatore

Un giorno sei tutto, un giorno sei niente”, recita una famosa citazione popolare che spesso fa da didascalia a malinconici selfies adolescenziali. Nonostante questa frase sia spesso usata a sproposito da chi non conosce la realtà di questo concetto, al di là delle polemiche racconta una verità incontestabile: come patetiche macchine usa e getta, gli esseri umani sono sfruttati e osannati nel momento del bisogno salvo poi essere mistrattati e accantonati in caso di perdita di importanza o al primo errore. Il mondo del calcio, in particolare, è esempio concreto di crudeltà e ingratitudine: nel particolare caso degli allenatori, normali capri-espiatori di una squadra, non esiste la parola grazie o il ricordo dei momenti positivi o meglio viene riconosciuto il merito ma viene prontamente accantonato alle prime avvisaglie di crisi.

Lo sa bene Gennaro Gattuso, abituato da sempre a ricevere critiche da ogni latitudine calcistica: se in campo, ai tempi, rispondeva agli “haters” in prima persona a suon di prestazioni positive ora, da allenatore, deve affidarsi ad un organico che ha più volte palesato limiti di personalità evidenti. I 17 mesi di gestione rossonera raccontano di un sali-scendi di emozioni che hanno contribuito ad alimentare il fuoco di una insperata rinascita salvo poi spegnerlo subito dopo. La mezza stagione dello scorso anno e l’annata completa che sta per terminare raccontano di una squadra che è stata capace di incredibili cavalcate, affrontate con orgoglio e determinazione ma bruscamente interrotte ad un passo del traguardo. L’incredibile rimonta Champions culminata con il terzo posto, raggiunto dopo la vittoria sul Sassuolo, hanno mostrato un’orchestra compatta, solida e vincente guidata da un direttore capace di destreggiarsi lucidamente nei momenti di difficoltà (l’infortunio di Biglia e Romagnoli) e capace di brillanti intuizioni (l’inserimento immediato di Paquetà e il rilancio di Bakayoko).

Il disastroso cammino post Derby della madonnina, invece, ha consegnato una squadra spenta e arrendevole trascinata da un condottiero esausto e incapace di trasmettere la necessaria grinta per mantenere un obiettivo conquistato con le unghie con i denti. Tra gli aspetti maggiormente visibili dell’involuzione rossonera, sicuramente non si può non citare l’aspetto tattico: se nell’insperata cavalcata il Milan era stato capace di grandi prestazioni, nella rovinosa caduta iniziata a fine Marzo ha cominciato a palesare una totale assenza di idee. Dopo l’infortunio di Paquetà e l’inspiegabile involuzione di Suso, il diavolo ha perso gli unici leader tecnici in rosa capaci di portare imprevedibilità alla manovra e di salvare il gioco del Milan dalla vergognosa etichetta di “provinciale”.

Nell’esasperato e volubile mondo dei social, Gattuso è salito su una montagna russa che prima lo ha condotto verso le esaltanti curve degli elogi che lo indicavano come nuovo “Ferguson rossonero” poi ha improvvisamente virato verso le tremende discese delle critiche che lo additavano come il più misero degli allenatori. Nell’universo del pallone, in cui il termine “giusto mezzo” è inesistente, l’unico metro di giudizio sono i risultati. La gestione Gattuso racconta di una squadra altalenante, capace di agguantare la preda ma non di finirla. Nella lucida consapevolezza che l’obiettivo del Milan, per questa stagione, era ed è la qualificazione alla Champions League, bisogna riconoscere che il diavolo è ancora in piena lotta per raggiungere questo traguardo e che ha portarlo sin qui è stato, nel bene e nel male, Gennaro Gattuso.

Insistenti voci su un cambio di allenatore si sono susseguite dopo la crisi rossonera, salvo poi affievolirsi a fronte degli ultimi recenti successi. In tutto questo la società non ha mostrato una chiara presa di posizione, né confermando né smentendo queste chiacchiere da bar. E’ vero, probabilmente la qualificazione al quarto posto sarà il fattore decisivo per decidere il futuro rossonero di Gattuso ma in un’ottica complessiva di bilancio, questo vincolo sembra limitante e superficiale. Per ripartire verso un futuro luminoso oltre ad un allenatore carismatico e talentuoso servono profili di grandi qualità tecniche ma soprattutto caratteriali. Perchè è vero l’allenatore è il normale capro espiatorio ma i successi e i fallimenti di una squadra vanno analizzati nella sua collettività. Un giorno sei osannato, l’altro sei criticato: Gattuso lo sa bene e l’ultima battaglia rossonera contro la Spal l’affronterà per prendersi tutto.

Di Pietro Andrigo

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