Rebic si racconta: “Non mi piace si parli di me. Ibrahimovic mi sta dando tanto, ma io non sto zitto”

Ante Rebic, in una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, ha parlato non solo del Milan e del suo momento positivo, ma anche della sua personalità e dei suoi hobby. Ecco le sue parole:

Sulla sua personalità: “Ci sono due Rebic. Nel privato sono molto tranquillo, un po’ chiuso perché non mi piace che si parli tanto di me. In campo c’è un altro Ante, che rompe le scatole a tutti. Quando l’arbitro fischia bene, cinquanta e cinquanta, io sono calmo. Ma quando vedo che sbaglia troppo e sempre a favore dell’altra parte, non mi piace. Divento nervoso. In realtà, sembro nervoso, ma dentro sono calmo. È che all’esterno dimostro il contrario”

Sulla sua carica emotiva: “Io mi definirei consapevole. So quali sono le mie qualità: ho fisico, velocità, gioco con entrambi i piedi. E poi sono forte nella testa”

Sull’essere sottovalutato dagli avversari: “Due anni fa, prima della finale della Coppa di Germania. Noi dell’Eintracht contro il Bayern, all’Olympiastadion di Berlino. Alla vigilia, ci alleniamo entrambi sul campo della partita. Prima loro, poi noi. Incrociamo quelli del Bayern e sento Thiago Alcantara che dice al mio compagno Kevin-Prince Boateng: “Il prato è perfetto, domani non toccate la palla”. Penso: “Forse domani non vinco, ma ti ammazzo”. Abbiamo vinto 3-1, io ho fatto due gol”

Sempre sulla sua personalità: “Una volta, il mio connazionale Mario Mandzukic ha detto: “Forse ai vostri occhi sono un po’ noioso, ma ai miei sono molto divertente”. Io faccio le cose che piacciono a me, non agli altri

Sui suoi hobby: “Per esempio, prendere il quad e andare dove nessuno ti rompe le scatole, sulle colline intorno a Imotski, la mia città. Ci portiamo da mangiare e saliamo nei boschi, dove non c’è neanche connessione al cellulare. Se muori non ti ritrova nessuno”

Sulle dichiarazioni d’amore da tutte le donne della città: “Hanno messo dei poster giganti in strada, ma solo perché eravamo arrivati in finale. Prima del Mondiale, zero

Sulla scuola e la poca voglia di studiare: ““Non è vero. Ho finito il liceo con indirizzo economico. Due anni a Imotski e due a Spalato, dove mi ero trasferito a giocare. Mi piaceva più il calcio della scuola, ma ho fatto quello che dovevo

Su ciò che conosceva del Milan prima del suo arrivo: “Ricordo Ronaldinho, Beckham, Shevchenko, ovviamente Maldini, Nesta… Invece Boban, che è croato come me ed è nato nella mia stessa città, Imotski, no, non lo ricordo. Come lui, Savicevic. Ero troppo piccolo”

Sul ruolo fondamentale di Boban per lui: “Sì. Mi ha chiamato anche dopo la Juve. Era contento che stessi dimostrando che aveva fatto bene a prendermi”

Su cosa non ha funzionato nei primi mesi: “Con Giampaolo non ho mai parlato. Quando a gennaio sono andato a Francoforte per vendere la mia casa e i giornali invece hanno scritto che tornavo all’Eintracht, ho detto: “Voglio fare quattro-cinque partite di fila al Milan. Se le giocherò male, vorrà dire che questo non è il mio livello e sarò il primo a dire che non posso rimanere”. Non volevo andare via senza avere un’occasione. Quando questa è arrivata, l’ho presa”

Sulla maturità della squadra e il bisogno di Ibra: “C’è bisogno di lui. Ibra è un leader. Prima della Juve ci diceva: “Farò vedere agli juventini come si gioca al calcio”. Era il suo modo per caricarci. Anche Begovic, Kjaer… Giocatori maturi che sanno come calmarti o spronarti”

Su cosa gli ha insegnato Ibrahimovic: “Ha portato tanto a tutti. Però, quando lui dice qualcosa, molti stanno zitti. Se invece io non la penso come lui, glielo dico

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