P. Maldini: “Milanello è un posto speciale. La stagione? C’è magia e qualcosa di segreto che non scopriremo mai”

Durante la trasmissione “Mi Casa” su Radio 105 condotta da Max Brigante, è intervenuto il D.T. del Milan, Paolo Maldini: “La settimana del break per le nazionali, negli ultimi anni in cui giocavo, è stata la più tranquilla in assoluto. Avevo la possibilità di riposarmi e allenarmi. Ora mi riposo e per due settimane non ho grosso stress. La squadra? A Milanello siamo in 5-6 giocatori più i Primavera, ma non dirò mai ‘non pensare alla Nazionale’ perchè è un punto di arrivo importante per chi gioca a calcio”.

Ha vissuto Milanello per tanti anni da calciatore mentre ora da dirigente che differenza c’è : “Milanello è un posto speciale e resta speciale anche da dirigente. Ho la fortuna, nonostante il lockdown, di poter andare nei luoghi di lavoro e Milanello poi è all’aria aperta. E’ stato il teatro di tante piccole cose che hanno contribuito a fare grande questa squadra. Non è cambiato molto. Ora stiamo provando a renderlo più moderno. La sensazione di calma, pace e preparazione alla guerra sportiva rimane”.

Il discorso è proseguito inevitabilmente sul primato attuale, l’ ambiente e le prospettive, sportive e societarie: “Come tutte le magie, c’è qualcosa di segreto, probabilmente non lo scopriremo mai. Poi c’è tanto lavoro dietro: un concetto di gioco, un’idea della proprietà verso i giocatori giovani, una squadra economicamente sostenibile, possibilmente autofinanziabile, anche se siamo ancora lontani da questo. Siamo partiti leggermente prima con quest’idea e ci siamo trovati più pronti nell’emergenza. Cerco di fare tutte queste cose mantenendo l’idea che deve avere un club come il Milan: competere, essere competitivo e dare spettacolo ai tifosi”.

Il nome Maldini è un nome che si lega alla storia di questo club e del calcio italiano: “Sicuramente mi porto dietro storia e rispetto, ma ho un ruolo diverso e devo guadagnarmi il nuovo rispetto”. Poi aggiunge sul Paolo Maldini dirigente e se si è appassionato a questo ruolo: “Se mi appassiona? Sì! Quando giochi a calcio, la dedizione dev’essere completa. Da dirigente manca la parte del gioco, ma sei partecipe di sofferenze e gioie della squadra. Per entrare in questo lavoro ci vuole tempo, viviamo in una società – specie nel calcio – che dà poco tempo, ma non ho mai avuto paura di fallire e rovinare ciò che ho fatto. Mi pareva assurdo non provarci”. 

Il rapporto con i tifosi: “Qualcuno mi chiama capitano, soprattutto i miei amici oltre ai tifosi. Altri mi chiamano Paolino, altri ancora direttore, ciò a cui mi sono abituato meno facilmente”. 

La chiacchierata torna sul campionato e su ipotetici vantaggi e svamtaggi di questa situazione: “E’ più aperto e ci sono anche numeri diversi, come i tanti gol. La  mancanza della pressione da parte del pubblico determina qualcosa. Di noi si è detto che siamo lì anche grazie alla mancanza di pubblico, ma in realtà ci avrebbe dato più forza. E’ difficile capire dove ci sia un vantaggio e uno svantaggio. Non avere il pubblico è davvero una cosa bruttissima”. 

Immancabile la domanda su Zlatan Ibrahimovic: “Da giocatore l’ho incontrato quando giocava nell’Ajax, nella Juve e nell’Inter. Giocavo da centrale, lo marcavo sui corner. Secondo me adesso è più grosso”. 

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