Ibrahimovic: “A Milanello sto benissimo, mi trattano come un comandante. Sulla Champions…”

Zlatan Ibrahimović ha rilasciato una lunghissima intervista a 7, settimanale del Corriere della Sera. Le sue parole:

Su chi sia…
«Zlatan Ibrahimovic´, 39 anni. Sono sempre quel ragazzo nato lassù che ha portato la sua borsa in giro per il mondo e ha fatto una grande avventura».

Com’è nato l’amore per il pallone?
«Nel campo di calcio siamo tutti uguali. In ogni angolo del mondo. Entri, palleggi, nessuno ti chiede da dove vieni, di chi sei figlio, che opinioni hai, quanti soldi porti in tasca. Sei lì, ci provi, basta. Sai giocare? Vai avanti, bravo. Non è che ti possono raccomandare».

Da come racconta il calcio è un posto perfetto
«Come idea sì, tra ragazzini sì. E non ci sono differenze sociali, culturali, geografiche. Un campo, due porte, vediamo chi segna di più. Puoi essere nel cortile o a San Siro: il gioco è felicità».

Sei contento oggi come una volta?
«Devi, devi, devi esserlo. Siamo felici e dobbiamo rendere felici le persone. La gioia del calcio ci prende e contagia tutti. Pensa agli stadi: che passione, che esplosione».

Sugli stadi chiusi, senza tifosi…
«E ne soffriamo molto. Noi dobbiamo portare un messaggio positivo, un po’ di fiducia».

Dove arriverà il Milan?
«Intanto dobbiamo cominciare bene il 2021. Poi andare avanti una partita alla volta, come fosse allo stesso tempo la prima e l’ultima della vita».

E’ una cosa possibile?
«Lo dico in un altro modo? Avere voglia. Di più, avere fame: sempre, tutti i giorni, ogni momento».

La fame del ghetto di Malmö, sempre quella, in un mondo con i capelli biondi e gli occhi azzurri?
«Qualsiasi cosa abbia fatto finora non importa, ogni volta devo dimostrare chi sono».

Al Gazzetta Sports Awards hai vinto il premio categoria “Leggenda” parlando di scudetto…
«La squadra deve avere il coraggio di sognare. E io dico che può e vuole fare ancora di più».

I giornali che lo cercano e il ritiro…
«Mi cercano in tanti… Anche la Bbc mi chiederà fino a quando andrò avanti: continuerò a giocare finché riuscirò a fare quello che sto facendo adesso»

Sui social…
«Che vuol dire? Stai scherzando? La parola è sbagliata. I miei non sono follower, sono believer. Come lo traduci?».

Sui seguaci:
«Di più e meglio. Persone che credono in me. Non sono io che le cerco, sono loro che mi vogliono, c’è una bella differenza».

Sul Covid che ha preso anche lui:
«Parliamo dell’epidemia, del Covid? Quando all’inizio mi è capitato, ero abbastanza tranquillo, quasi incuriosito, vabbè, voglio vedere cosa è questo Covid. Ha colpito tutto il mondo, una grande tragedia, adesso è arrivato da me. Ero a casa ad aspettare, vediamo cosa succede. Mal di testa, non fortissimo ma fastidioso, una cosa tosta. Ho anche perso un po’ il gusto. E stavo lì tutto il tempo, a casa, incazzato, non potevo uscire, non mi potevo allenare bene. Stare fermo è terribile».

Un leone in gabbia…
«A un certo punto parlavo con la casa e davo i nomi ai muri. Diventa un fatto mentale. Ti fissi e ti immagini tutti i mali addosso, anche quelli che non hai. Una sofferenza per quello che senti e per quello che pensi di sentire. Questo virus è terribile e non va sfidato. Distanze e mascherine, sempre».

Se gli manca la famiglia…
«Tantissimo. Ma proprio tantissimo. Sono allo stremo, non ne posso più. Vorrei stare con mia moglie e con i miei figli Maximilian e Vincent, che hanno 14 e 13 anni e vivono in Svezia».

Se ha provato a vederli…
«Ma figurati, ci ho provato. Pioli, il mister, mi ha risposto che non mi posso muovere e che ho famiglia anche a Milanello: dice che lì ho 2 ragazzi ma qui ne ho 25 e hanno bisogno di me».

Sui figli…
«Disciplina anche per loro. Quando giocano a calcio non li giudico come papà ma come calciatore. E soprattutto non devono farlo per me. Hanno la gioia di giocare? Tirano fuori la passione? Si allenano seriamente? E allora va bene».

Su sua moglie che compare poco…
«Sì, certo. Non è una calciatrice, è giusto che abbia la sua privacy e la sua vita. Ognuno di noi ha un percorso e non deve farsi travolgere dagli altri. I ragazzi vanno a scuola. In Svezia è tutto più aperto, il governo ha fatto altre scelte».

Se si arrabbia dopo che un compagno sbaglia un passaggio….
«Ma sì, sempre, anche in allenamento. Il problema è chi non si arrabbia. Io non sbaglio mai. Vabbè se sbaglio se la prenderanno con me, che problema c’è? Magari con un gesto, una parolina, uno sguardo. Ogni giocatore ha il suo modo di arrabbiarsi. Meglio. Si prende una responsabilità, sente che è tutto importante».

Sulla sua filosofia…
«Il talento serve se lo coltivi. Bisogna lavorare, lavorare, lavorare. Ci vuole sacrificio. Cosa sono i 90 minuti della partita? Niente, se non ti sei allenato tutti i giorni e tantissime ore. Più mi alleno e più sto bene. Lo dico a me stesso e agli altri: non mollare mai. Lo spiego in un altro modo: se non ti arrendi, vinci».

Sulla sua religione…
«La religione del rispetto per gli altri. Per tutte le fedi, per tutte le opinioni. Così sono cresciuto e così la penso adesso».

Se sta bene a Milanello…
«Benissimo, mi sento a casa. Ci sto volentieri, sono giornate piacevoli, le persone ti vogliono bene. Dirigenti, mister, compagni, comunicazione, qui funziona tutto».

Se gli hanno dato la camera di Berlusconi…
«Non esageriamo. Però mi trattano come un comandante».

Se sta dicendo che vuole restare a vita al Milan…
«Dico che sto veramente bene, però si vedrà. La vita va avanti e non sai cosa succede. Non ho questo ego così gigantesco da dire che deciderò soltanto io: la mia famiglia è più importante di tutto».

Se vuole giocare la Champions…
«A chi non piacerebbe… se posso restare, lo faccio».

Sull’amore per Milano e l’Italia…
«Eh sì. Quanto si vive bene. Dieci anni fa non era così: l’ho ritrovata più gioiosa, vivace, internazionale. La pandemia ha bloccato quasi tutto ma io dico che è soltanto una parentesi. Questa città poi riparte. Mi piace praticamente ogni cosa. In tutti questi anni forse sono stato più qui che in Svezia. È proprio la filosofia del Paese, lo stile di vita, che mi prende: è bello anche andarsene in macchina e vedere i paesaggi che scorrono. E il body language? Ne parliamo? Tu capisci le persone anche quando non dicono niente».

Sulla cucina… «Vorrei mangiare tutto, sempre, a cominciare dalla pasta. Adesso ho scoperto anche il panettone a più gusti, è strepitoso, però lo posso solo assaggiare».

Com’è cambiato il calcio…
«È cresciuto, ma forse è anche migliorato: con un clic sui social parliamo a milioni di persone. Anche se forse può essere un problema per le nuove generazioni. Fai meno cose e subito sei più conosciuto. Ma quanto dura? Non lo dico solo per lo sport».

Sull’elogio a Maradona «Il più forte di tutti i tempi. Icona del calcio, simbolo mondiale. Poi a volte ha fatto decidere il cuore». Se pensa a se stesso… «Sì. Non sempre con il cuore fai la scelta giusta».

Su Paolo Rossi…
«Grande persona, grande calciatore. Sai cosa dicono le persone? Allo stesso tempo un gigante e uno di noi».

Sulla statua e il cocktail che gli hanno dedicato in Svezia…
«Il cocktail non lo sapevo neanche io».

Se l’età esiste o è solo un numero…
«No, non esiste. È tutta e soltanto una questione di testa. Buone feste a tutti».

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