Realismo non è disfattismo. Nessuna “discesa dal carro” di una squadra di qualità e futuro. Ripartiamo

Nell’ immediato post derby si è sancita in modo netto la “scissione” tra ottimisti e pessimisti. Tra “veri” tifosi e tifosi occasionali. Tra amore vero e infatuazione stagionale. Molto di più del solito bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Chi vi scrive fatica a riconoscere queste categorie. Essere perdutamente innamorati di una persona piuttosto che di una squadra di calcio non vuol dire non riconoscere e vivere delle difficoltà. La maturità, in un sentimento, consiste nel discutere di un problema e non voltargli le spalle e far finta di nulla. I problemi non sono mai la fine di un amore ma accoglierli e accettarli è un modo per amare di una amore più grande. No, non avete sbagliato app. Siamo su SpazioMilan e questo non è l’ editoriale del Dott. Stranamore.

Non giriamoci intorno. Il Milan è palesemente in difficoltà. La prima vera e fisiologica difficoltà della stagione. Qualche indizio era arrivato nel match contro il Crotone. Prima ora di gioco sotto tono e poi 3 gol in 6 minuti. Sempre e solo i “benedetti” 6 minuti che spesso nella storia del Milan decidono di cambiare la sorte, in peggio, da Istanbul al Derby di ieri.

La Spezia e Belgrado sono declinazioni di partite insufficienti. Passare da una partita senza mai tirare in porta con l’ aggravante delle dichiarazioni del Capitano a fine match – forse l’ abbiamo sottovalutata – alla rimonta di Belgrado pur essendo in superiorità numerica, non cambia la sostanza delle cose. Da 0 a 5 può cambiare il peso specifico dell’ insufficienza ma sempre tale rimane. La squadra non è più brillante, non è armoniosa, gambe e forse testa non ci stanno permettendo di esprimere quel gioco che per mesi ha meravigliato tutti. Non è un peccato riconoscerlo. Non è voltare le spalle ad un gruppo che sta facendo cose eccelse e ad una società e dirigenza che hanno messo le basi per un futuro da protagonisti.

Ieri, a caldo, ho considerato il Derby “non giocato”. So anch’io che non giocare una partita significa bissare La Spezia. Non mi sono distratto nei primi 10 minuti della ripresa quando Handanovic si è superato con 3 interventi miracolosi in sei minuti (ancora quel minutaggio) che avrebbero potuto cambiare tutto. Però abbiamo passato giorni di proclami, rassicurazioni, voglia di riscatto, entusiasmo e dopo 4 minuti siamo andati sotto senza reagire e per 33 minuti del primo tempo, il nulla. Lo so che fa male ma che problema c’è. Il calcio e lo sport sono così. La squadra è implosa nelle sue difficoltà del momento al cospetto di una rivale che ha subito la nostra qualità, tecnica e mentale, per soli 10 minuti su 96.

Bisogna stringere i denti e far passare questo momento. Il processo di maturazione passa inevitabilmente da questi momenti. Accettare di essere in difficoltà è il primo passo per porsi obiettivi ambiziosi. D’ altronde è lo stesso Ibra che negli spogliatoi ha detto alla squadra: “Il calcio è così. Perdere fa male. Dobbiamo alzare la testa per andare più forte” (fonte Kessie). Quel “andare più forte” significa: è indubbio che abbiamo rallentato ma è il calcio. Tranquilli e torniamo a correre.

Non dobbiamo aver paura di guardarci indietro in classifica. Non dobbiamo certo definitivamente abdicare dal sogno massimo. La capolista è a 4 punti ma forse è più sano accettare che la distanza dal quinto posto è diminuita e domenica c’è un match clou a Roma da affrontare senza paura. Nessuno ha smesso di credere in questa squadra ma il realismo è la virtù dei grandi. Iniziamo a portare a casa la qualificazione in Europa giovedì sera e il tempo, nonostante le difficoltà del momento, tornerà a sorridere a questo gruppo.

Che nessuno si spaventi o si “vergogni” delle difficoltà perchè solo gli eroi che avevano superato imprese complicate meritavano l’ Olimpo. E allora ripartiamo “per aspera ad astra”.

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