Seid Visin, la lettera sulle discriminazioni inflitte al calciatore morto suicida a 20 anni: “Sguardi schifati per il colore della mia pelle”

Una lettera tormentosa, potente ed estremamente acuta. È stata recapitata tempo fa ad alcuni amici e alla sua psicoterapeuta, in cui espone con parole drammatiche tutto il razzismo provato quotidianamente.

Seid Visin, 20enne nato in Etiopia e adottato in Italia da piccolo, si è suicidato il 3 giugno 2021 nella sua casa a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno; luogo dov’era tornato dopo un paio di stagioni passate a Milano a giocare nelle giovanili del Milan con Donnarumma. Aveva vestito anche la maglia del Benevento, ma alla fine aveva scelto di studiare. Fine del calcio professionistico. Di recente si era impegnato per l’Atletico Vitalica, una squadra di calcio a cinque.

Una vita piena di “Sguardi schifati per il colore della mia pelle“, scrive Seid nella sua lettera, riportata dal Corriere della Sera, in cui l’inchiostro su carta lascia un segno che va oltre il mero simbolo grafico, trascendendo i limiti del silenzio che spesso si porta appresso l’essere vittima di comportamenti discriminatori.

La lettera – “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone”. Seid ricorda lo sguardo di disprezzo, la donna che si tiene la borsetta se sali sull’autobus, la commessa che ti segue convinta che ruberai… ogni piccolo gesto è la lama di un coltello che ti tormenta; ogni comportamento di questo tipo è come una pugnalata all’anima per lui, che avrebbe voluto vivere in un mondo senza razzismo.

Nella lettera, poi, Seid rivendica il fatto di non essere un “un immigrato. Sono stato adottato da piccolo (…). Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto“. (…) “Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.

E ancora: “Dentro di me è cambiato qualcosa”, scrive Seid. “Come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco”.

Timore che aveva portato il ragazzo a fare “battute di pessimo gusto su neri e immigrati (…) come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati”.

Ma, in conclusione, Seid chiarisce che “non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente ‘Vita’”.

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