Esiste un’ipocrisia di serie A e una di serie B. La stucchevole retorica perbenista: Gigio, senza rancore

Francamente mi ero ripromesso di non scrivere più nulla sul conto dell’ex portiere del Milan. Questa promesso pensavo potesse rimanere ben salda fino alle 20:45 di ieri sera. Promessa non mantenuta, prendo atto. Almeno io, per quanto possa servire, ammetto la colpa di non essere riuscito a tener fede ad una promessa.

Il discorso è tutto qui. Ammettere o no di aver scelto altro rispetto a quanto promesso. La non ammissione e la retorica delle belle parole è il suggello di un’ipocrisia che fa più male del problema stesso.

Gigio Donnarumma e il Milan hanno deciso di dividere le proprie strade legittimamente. Si può parlare di ambizioni e di contratti ma niente e nessuno possono delegittimare una scelta. Come nessuno e ripeto, nessuno può decidere o peggio ancora, imporre la manifestazione di un sentimento. Nessuno.

Tutti i pasdaran radical chic che da ieri sera stanno dispensando giudizi e sentenze sul conto di persone che da anni pagano un biglietto, fanno sacrifici per la propria fede calcistica, dimenticano la parabola della pagliuzza e della trave (Matteo 7, 1-5).

Si è ribaltata la situazione. L’onestà e la schiettezza di manifestare una propria emozione, diventa motivo di denuncia rispetto alla presunta onestà di chi sceglie l’ipocrisia della difesa di questo e quell’altro in base alle appartenenze, amicizie e sciarpa di un club tenuta debitamente nascosta chissà dove.

Gianluigi Donnarumma con la maglia della Nazionale

Donnarumma fischiato con addosso la maglia della nazionale. Quindi? Sarebbe questo vilipendio al tricolore? Se proprio vogliamo parlare di rispetto per il bene comune e/o una nazione, perché non mettere in prima pagina i fischi all’Inno Spagnolo? A chi non piace questo tema?

Sentire una lezione di etica da un giornalista quando lo stesso pensò bene di sventolare delle banconote in tribuna al Bernabeu per dissenso alla scelta dell’arbitro che assegnò un rigore contro una squadra italiana ben oltre il 90esimo, è quantomeno grottesco.

Leggere un tweet di un altrettanto noto giornalista che etichetta come ignoranti coloro che ieri hanno osato fischiare Donnarumma dimenticando che non tantissimo tempo fa pensò bene di postare una foto del Velodrome di Marsiglia a luci spente, ironizzando sul ritiro del Milan da parte di Galliani durante un Marsiglia-Milan del 1991. Chiaramente è stato un grande contributo alla cronaca sportiva e all’etica professionale.

Piuttosto, scrivino a chi di dovere, consigliando a Donnarumma di migliorare l’aspetto comunicativo. Era il 2 maggio quando Gigio in un confronto con i tifosi ammette di essere lui solo l’artefice di una decisione e che fino ad allora non aveva firmato con nessuno. Peccato che era il segreto di Pulcinella la risposta a Maldini di non parlare più con lui e rivolgersi solo al suo procuratore. Oppure dell’accordo trovato già da marzo con la Juventus. E chissà la decisione (legittima) di andare chissà a quando risale. Forse già dall’ultimo e unico rinnovo.

Ipocrisia amici, solo ed esclusivamente un trattato di ipocrisia. Dichiarare nella conferenza della vigilia di aver dato tutto al Milan e che non avrebbe voluto i fischi solo perché si è impegnato per questa squadra fino all’ultimo giorno, è una “distrazione” peggiore della non esultanza dopo il rigore decisivo contro l’Inghilterra.

Giusto per essere chiari caro Gigio e tutti i dispensatori di etica. Dare il meglio fino alla scadenza contrattuale per una società che dal primo all’ultimo giorno di carriera in rossonero di ha dato tutto: dalla visibilità alla crescita del tuo talento fino alla ricchezza con stipendi pagati fino all’ultimo giorno e con puntualità, questo non è una grande manifestazione d’amore. Questa si chiama professionalità. Vale per i ricchi calciatori e per i dipendenti statali. L’etica professionale impone di dare il massimo fino all’ultimo istante di collaborazione lavorativa. L’amore è altro caro Gigio.

Fino a prova contraria la manifestazione pacifica del dissenso non è illegale. Nel magico mondo del Teatro Lirico, il pubblico fischia e quel dissenso diventa il termometro di un giudizio qualitativo. Eppure nel mondo del calcio fischiare, da ieri sera è diventato sinonimo di becera ignoranza.

Ma guai a fischiare contro chi ha reso questo sport ostaggio di arroganti affaristi senza etica, capaci solo di distruggere. Guai. Forse troppo amici.

Meglio mettere alla pubblica gogna quelle persone che per amore tradito, per quell’insopportabile narrazione di un sentimento ipocrita, fischia e contesta contro chi ha masticato e poi sputato la propria passione in nome del vil danaro.

E poi, volevate il calcio del popolo? Eccovi serviti. Il popolo non paga solo abbonamenti con scarso servizio, non paga biglietti e trasferte per seguire la propria squadra. Il popolo vive, soffre, si emoziona, passa notti insonni e dona il proprio cuore a 11 ragazzotti che indossano i colori della propria squadra. Rispettarli è un dovere. Fischiare è un diritto sacrosanto. Questo è il sano calcio del popolo.

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