Maldini esce allo scoperto: “Il mio esempio quando giocavo è stato lui!”

Paolo Maldini, leggenda del Milan e direttore dell’area tecnica rossonera, in un podcast della radio m2o ha parlato del suo rapporto con la musica e di alcune situazioni nel campo da gioco.

SULLE USCITE SOLO DOPO LE VITTORIE – “Sì, direi di sì. Vincevamo spesso e questo aiutava. È normale, non te la senti di uscire se la partita va male, la vivi come una vergogna, la sconfitta, dovrebbe invece far parte del mondo dello sport. Devi fare sempre molta attenzione, puoi suscitare qualche reazione della gente. Giocando anche le Coppe Europee e vincendo anche lì, alle volte si faceva doppietta”.

SU COLLEGHI CHE ESAGERAVANO – “È una scelta, alle volte è una scusa, non capire il momento. Riuscire a tenere i piedi per terra è fondamentale, devi avere un’educazione tosta. A casa, ma anche con le giovanili. Ho iniziato a dieci anni, pensavo agli orari, al sacrificio, al giocare per la squadra. Prima andavi a scuola fino all’1, in giro c’erano un sacco di cose che ti potevano portare a fare altro. Ti ponevano degli obiettivi, delle regole, degli orari. Non dovevi pensare a te ma alla squadra. Sono stato contento quando i miei figli hanno deciso di fare quest’esperienza“.

SULLA DISCIPLINA – “I social hanno una vita propria, fa parte della vita del calciatore. C’era molta più libertà perché c’erano meno fotografi, meno gente curiosa, potevi fare la tua vita in maniera più libera e normale. L’idea che escano più o meno, non lo so… Ho conosciuto il mio fisico strada facendo, ho imparato a gestirmi, anche sbagliando. Prova, sbaglia ma impara. Questo è quello che dico loro, dovrebbe farlo ogni papà con i propri figli”.

SULLO SVAGO – “Sì, uscivo, ma sono astemio. Non bevo, non fumo, non mi sono mai drogato. L’obiettivo della mia vita era quello di essere performante nel mio lavoro. Mi ero posto degli obiettivi chiarissimi, talvolta anche sbagliando. Quello credo sia un processo, in maniera istintiva, un po’ provando e un po’ sbagliando, superando i miei limiti. Quando la sera fai veramente tardi, alle 8 devi fare allenamento… Ti metti anche alla prova, come starò il giorno dopo? Io ero forte fisicamente e mi misuravo spesso contro te stesso”.

SU PADRE CESARE – “Mi ricordavo anche ero in macchina con papà e mi diceva “ti devo parlare” e mi dava un fastidio. Con il senno di poi grazie a Dio che mi parlava. Faccio una premessa con i miei figli, dicendo loro che so che gli dà fastidio perché a me succedeva lo stesso. Comunque non di calcio”.

SUI FIGLI CALCIATORI – “Quando è nato il mio primo figlio, non ti nego che fossi molto contento. Ho visto mio cognato, con mia sorella, ha avuto due femmine… Solo danza, danza, danza. Essendo nato in questo ambiente ero contento di avere un maschio, poi anche il secondo e mia moglie era contenta. Mi ha fatto piacere, ma poi molto fastidio: la pressione del papà calciatore, gli occhi puntati tra i 10 e i 12 anni quando sei ancora un bambino. Tutta questa attenzione ha dato fastidio a me, ma soprattutto a loro. La strada è stata difficile per farsi valere”.

Baresi Maldini Milan

SU ESEMPIO – “Quando vedevo Franco Baresi giocare era il massimo, anche in allenamento piuttosto moriva rispetto a prendere gol. Parlava poco, faceva molti fatti. È stato un esempio che mi ha indicato una via che già sentivo mia”.

DOPO IL RITIRO – “I primi tre mesi, con il derby all’inizio e il Barcellona dopo… Quello che ti manca è l’adrenalina della partita. È la cosa che ti è cambiata di più all’inizio, poi te ne fai una ragione. Poi fai delle cose banali, come prendere caffè con gli amici, cosa che non avevo mai fatta. Non avevo una vita con degli impegni e degli orari fissati. Una seconda vita, questa invece è una terza: tra ufficio e Milanello, dove si allenano, dove stai all’aria aperta. Stai in panchina e guardi l’allenamento, parli con giocatori e allenatore. Per dodici anni ho fatto tutt’altro, sono stato negli Stati Uniti, volevo aprire un hotel per due anni, poi ho cambiato progetto. Mi sono goduto figli, moglie e amici, cose che avevo trascurato. Volevo fare la mia professione al massimo”.

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