Amarcord, quando l’entusiasmo precedette la delusione

Il fatto che Kakà possa tornare al Milan non può che riempire d’entusiasmo i supporters del Diavolo. Ricky era stato ceduto dalla società, nonostante la sua intenzione fosse quella di rimanere in rossonero. I cancelli di Milanello e di San Siro sono per lui spalancati. Sorge però un dubbio: funzionerà, stavolta, la minestra riscaldata? Sono sette, in casa Milan, i precedenti inerenti illustri ricomparse. E in tutte e sette le situazioni, i cavalli di ritorno non sono riusciti a riaffermarsi, nemmeno in minima parte.

Ruud Gullit, che riportò il Diavolo sul tetto del mondo e allontanò i fantasmi della doppia retrocessione in Serie B, tornò alla corte di Capello nel 1994. Ma i dissidi con quest’ultimo fecero in modo che il tulipano nero, dopo sei mesi in cui collezionò quattro reti in quattordici incontri disputati e in cui non riuscì ad esprimersi a dovere, tornasse alla Sampdoria. Il tutto a titolo gratuito, con la meteora Melli utilizzata come contropartita.

Sorte simile toccò a Roberto Donadoni che, in dieci anni di Milan, aveva contribuito a portare in Via Turati qualcosa come 5 Campionati, 4 Supercoppe italiane,  3 Coppe dei Campioni, 3 Supercoppe europee e 2 Coppe intercontinentali. Tornato al Milan nel 1997, una volta trascorsi due anni sabbatici negli Stati Uniti, non riuscì a ripetersi e venne declassato a comprimario. L’unica nota lieta della sua seconda esperienza milanese fu lo Scudetto dell’annata 1998-1999. Ma non riuscì più a recitare il ruolo di attore protagonista. Al termine di quella stagione, emigrò in Arabia Saudita.

Marco Simone, indiavolato dal 1989 al 1997, venne da Galliani ripescato nel settembre del 2001. Ma della punta intraprendente e dinamica, che diede il meglio di sè nella stagione 1994-1995, non fu trovata traccia. La sua seconda esperienza in rossonero si concluse con quindici presenze e un solo acuto, il 10 gennaio 2002, in occasione dell’andata dei Quarti di Finale di Coppa Italia: vittima fu la Lazio. Conclusosi il Campionato, essendo scaduto il prestito, tornò al Monaco.

Nell’ottobre del 2002, un altro grande ex decise di riprovare ad avventurarsi in quel locus amoenus chiamato Milan: Leonardo. Avrebbe voluto riaffacciarsi nel calcio che contasse, ma in cinque mesi, collezionò 5 partite e andò due volte in gol, contro l’Ancona, in occasione degli Ottavi di Finale di Coppa Italia(ne segnò uno all’andata e uno al ritorno). Decise allora, prima che la stagione terminasse e prima che il Milan si aggiudicasse la Champions League, di rescindere il contratto e di intraprendere la carriera manageriale. Non potè così fregiarsi del fatto di avere vinto la coppa dalle grandi orecchie. Una delle tante contraddizioni che ne contraddistinguono il curriculum.

Arriviamo adesso all’ultimo illustre ritorno, quello di Andriy Shevchenko, uno dei più grandi. Eroe di Manchester 2003, due volte capocannoniere della Serie A e della Champions League e Pallone d’Oro 2005, nel maggio del 2006, Sheva decise di accasarsi al Chelsea, Ma dopo due anni di inferno, trascorsi alla corte di Abramovic, riuscì tornare a casa. Merito della magnaimità di Berlusconi e dell’ars dicendi di Galliani, che lo prelevò in prestito, con diritto di riscatto. Quest’ultima formula non venne però esercitata. Andriy non costituì altro che la ricalcatura di se stesso e collezionò due reti e due assist in 26 presenze, toppando in tutti gli incontri decisivi. Preferì, scaduto il prestito con il Milan e risolto il contratto con i blues, tornare nell’amata Kiev.

Sarebbe un errore pensare che la maledizione dei ritorni in rossonero abbia colpito soltanto i giocatori, ex fenomeni inclusi. Non scapparono a questo incantesimo nemmeno due tra gli allenatori più vincenti della storia del calcio, Arrigo Sacchi e Fabio Capello. Il tecnico di Fusignano, che sedette sulla panchina del Diavolo dal 1987 al 1991, fu richiamato nel dicembre del 1996. Avrebbe dovuto riportare il Milan di Tabarez, che aveva collezionato 15 punti in 11 incontri, nella parte alta della classifica. Ma Arrigo non riuscì a centrare l’obiettivo, prese parte all’1-6 impartitoci dalla Juventus e chiuse il campionato all’undicesimo posto, a sei lunghezze dalla zona retrocessione. Non venne confermato, sostituito da Capello, appena laureatosi campione di Spagna alla guida del Real Madrid.

Don Fabio chiese e ottenne ben 11 acquisti e, non essendo stato il Diavolo impegnato in Champions, avrebbe dovuto riportare in Via Turati lo Scudetto. Ma le new entries si rivelarono dei flop, Patrick Kluivert in primis, e il Milan chiuse decimo. La finale di Coppa Italia raggiunta, dopo avere battuto 5-0 l’Inter in occasione dell’andata dei quarti di finale, costituì l’amara consolazione. Anche perché, dopo avere accarezzato la coppetta, quest’ultima terminò nelle mani della Lazio. E Capello, riconosciuto uno dei pochi fallimenti della sua carriera da allenatore, dovette abdicare. Anche lui.

Impostazioni privacy