Non basta neanche il cul… de Max

Alberto-ZaccheroniAlzi la mano chi non ricorda l’epico e inaspettato scudetto vinto da Alberto Zaccheroni nel 1999. Primo anno di panchina rossonera e subito a segno, e che segno: quella rimonta thriller, completata nel finale ai danni della lanciatissima Lazio di Cragnotti ed Eriksson, aveva esaltato e allo stesso tempo lasciato a bocca aperta un po’ tutti, soprattutto dopo il non incoraggiante girone d’andata. E invece tricolore, contro ogni pronostico e contro ogni scetticismo, alla fine era stato: nell’anno del centenario, nell’anno forse meno atteso e meno cercato. Lo stupore generale, all’epoca, era stato ben riassunto da una ormai celeberrima battuta del presidente Silvio Berlusconi, che parlando del neo scudettato e un po’ fortunato tecnico romagnolo, aveva dato inizio alla leggenda del Cul de Zac.

E’ così sbagliato, quattordici anni dopo, parlare invece di Cul de Max? Non proprio, e il motivo è presto detto. Il tecnico livornese, ancora una volta, anche ieri sera ha evitato di finire sulla graticola in modo serio e definitivo. Prima di tutto ha incontrato la Juventus in un periodo tutt’altro che esaltante: la luce di Andrea Pirlo resta sempre accesa, certo, ma alcuni automatismi che negli anni scorsi sembravano funzionare a perfezione ora sembrano essersi inceppati. E certe magagne appaiono ancora più evidenti se ad inizio stagione parti favorita, se tutti si aspettano il meglio sul piano del gioco e dei risultati e poi ti trovi a dover far i conti con un Benitez che giostra i suoi attaccanti in modo quasi inquietante e un Rudi Garcia che sembra aver trovato la chiave per vincere, divertire e divertirsi.

Max, insomma, ha incontrato una Juve intristita dalle rivali agguerrite, ma anche reduce da un turno di Champions League che ha complicato maledettamente le cose. Ha iniziato la partita, si è subito trovato in vantaggio con goal di Muntari, come nei sogni dei tifosi rossoneri più vendicativi. E poi? Poi per tutta la prima frazione se l’è giocata alla pari, complice un buon centrocampo, un De Jong sempre encomiabile e una voglia di giocare insieme per un obiettivo finalmente tangibile. Ha subito il goal del pareggio, ha sopportato per buona parte della gara un arrembaggio bianconero confuso, dettato più dalla voglia e dall’orgoglio che da una trama di gioco precisa. Il Diavolo, sfinito nelle gambe e nei nervi a metà secondo tempo, è comunque riuscito a restare sul pezzo fino alla fine, nonostante l’uno-due targato Giovinco e Chellini. 3-2 il risultato finale: un’altra sconfitta, certo, ma non una sconfitta di quelle che bruciano. Non una di quelle sconfitte che sollevano gli animi, non una di quelle sconfitte che fanno vedere solo il bicchiere mezzo vuoto.

Allegri, insomma, anche questa volta ce l’ha fatta: non verrà messo in discussione, non finirà nell’occhio del ciclone. Ha incontrato la squadra di testa più sofferente, ha approfittato finché ha potuto del freno a mano tirato degli uomini di Conte, è restato in partita nonostante l’anonimato più assoluto della fase offensiva. Si è salvato ancora, insomma. Non si sa per quanto, ma si è salvato ancora.

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