Buon compleanno, Zac: sessantuno anni e un miracolo rossonero datato 1999

Il primo aprile è la giornata dei compleanni rossoneri. Oltre ad Arrigo Sacchi e Clarence Seedorf, in data odierna si celebra l’anniversario di un’altra vecchia conoscenza un tempo indiavolata: Alberto Zaccheroni, che spegne la bellezza di sessantuno candeline. Vate del 3-4-3, modulo che pone l’accento sull’intensità e sul gioco d’attacco in prevalenza sviluppato sulle fasce, nell’estate del 1998 il tecnico originario di Meldola (paese situato a quattordici chilometri da Forlì) assumeva le redini di un Milan chiamato a riscattare due stagioni a dir poco buie. Ingaggiato dal Presidente dopo tre ottime annate trascorse sulla panchina dell’Udinese, culminate con la conquista di un’insperata terza posizione e della vittoria della Panchina d’Oro e del titolo di Seminatore d’Oro, lo Zac aveva messo in circolo carisma e determinazione sin dall’inizio della propria avventura in quel di Milanello: sua era stata la decisione di arruolare tra le fila del Diavolo Thomas Helveg e soprattutto bomber Oliver Bierhoff, suoi elementi di fiducia ai tempi dell’Udinese, mentre non aveva posto alcuna resistenza per la cessione della delusione Patrick Kluivert e dell’ormai tramontato Marcel Desailly.

Eppure, l’inizio di Campionato non era stato né facile né esaltante. Zaccheroni si trovava a fare i conti con problemi inerenti gli interpreti del suo 3-4-3, tanto da accantonare più volte Zvonimir Boban, inizialmente schierato da centrale di centrocampo e in seguito schierato nel tridente d’attacco ma riproposto sporadicamente anche in seguito in mediana. E la continuità di rendimento latitava. Al termine del girone d’andata il Diavolo aveva totalizzato 30 punti in diciassette turni, pochi, per ambire al tricolore. Le posizioni di testa erano occupate da Fiorentina e Lazio. Con i biancocelesti che, alla 22ma, riuscivano a scavalcare la compagine di Trapattoni. E giornata dopo giornata, si avvicinavano sempre più al titolo. Ma intanto, spinto dall’entusiasmo e dalla sete di vendetta per due Campionati conclusi a metà classifica, il Milan iniziava a crescere. L’ultima sconfitta si registrava alla 23ma, all’Olimpico, contro la Roma. Da lì in avanti, cinque punti in tre partite, fino ad arrivare allo scontro esterno con la capolista. Trattavasi dell’ultima chiamata, dell’ultima possibilità per ridurre un divario di sei lunghezze. Ma tra le mura amiche, le aquile dominavano l’incontro, pur senza riuscire a concretizzare. Finiva zero a zero, con un Diavolo attendista e mai sul punto di colpire, ritenuto ufficialmente fuori dalla corsa allo Scudetto.

Ma si sa, il calcio è imprevedibile. Ed è proprio quando un verdetto appare scontato e anticipabile, che possono iniziare a presentarsi insidie e complicazioni. Dalla giornata successiva a Lazio-Milan, a sette turni dall’epilogo, gli amanti della Serie A avrebbero iniziato a vivere domeniche mozzafiatanti. Proprio così. Mentre i capitolini iniziavano a lasciare punti per strada, perdendo contro Roma e Juventus, il Diavolo iniziava la rimonta. Rimonta in apparenza destinata a sfumare, trasformandosi in un nulla di fatto, alla quart’ultima. O meglio, fino al 94′ di Milan-Sampdoria della quart’ultima, quando i rossoneri si accingevano a battere il corner della disperazione nella speranza di segnare il gol del 3-2 e i biancocelesti si sbarazzavano con tranquillità dell’Udinese. Ma quella palla poco precisa, destinata ad allontanarsi dall’area di rigore, veniva colpita da una mezza girata di Ganz. E grazie a una deviazione di Castellini, carambolava in rete, tenendo ancora in vita un Milan a un passo dallo smacco decisivo. Un segnale? Sì, perché il calcio parla un linguaggio non comprensibile a noi esseri umani, composto da segnali, allusioni e corrispondenze.

E così, alla penultima di Campionato, accadeva l’imprevisto: il miracolo chiamato sorpasso. La Lazio impattava a Firenze, il Milan batteva l’Empoli per 4-0 e si portava al primo posto. Il tutto a una giornata dal termine. Proprio così. All’ultima, tutto era nelle mani del Milan. Che dopo mezz’ora dall’inizio dal match Scudetto, a Perugia, si trovava già in doppio vantaggio grazie a Guly e Bierhoff. Ma che prima del termine del primo tempo, vedeva dimezzate le proprie certezze da un calcio di rigore trasformato da Nakata. Sarebbe allora seguita una ripresa da pelle d’oca, dal momento che la squadra umbra era determinata a pareggiare, in quanto coinvolta nella lotta per non retrocedere. Il Milan aveva speso tanto in apertura, accusava segni di cedimento. C’erano i presupposti perché il sogno si infrangesse sul più bello. Ma la carica dello Zac si faceva sentire. E quando Bucchi si era presentato minaccioso dinanzi ad Abbiati, lanciato proprio da Zaccheroni per via della squalifica di Rossi, Christian si tuffava e abbassava la saracinesca: il risultato era al sicuro, il primo posto pure, il Campionato di conseguenza. Il Diavolo, proprio nell’anno del centenario, tornava a dominare l’Italia.

Purtroppo però, come detto in precedenza, nel calcio nulla è scritto. E Zaccheroni, dalla stagione successiva, veniva messo in discussione per il breve cammino effettuato in Champions League e per un modulo mai piaciuto al Presidente. E così, dopo un Campionato concluso al terzo posto, nel 2001 sarebbe arrivato l’esonero. Fatale, in merito, la seconda eliminazione consecutiva alla seconda fase a gironi della Champions. Era stata questa, piuttosto della difesa a tre mal sopportata dal Presidente, la goccia in grado di far traboccare il vaso e di fare in modo che Berlusconi sollevasse Zaccheroni dall’incarico. E così, il tecnico emiliano si trovava costretto a ripartire, lontano dal locus amoenus rossonero. Lazio, Inter, Torino e Juventus. Queste le compagini da lui allenate dopo l’esperienza rossonera. Tutte con risultati inferiori alle aspettative, tanto da comportare in ogni situazione l’esonero. Detto ciò, il primo posto con il Milan nella stagione 1998-1999 rimane indelebile nel suo palmares e nella memoria di tutti i calciofili, indiavolati e non. Anche perché per lo Zac le soddisfazioni non sono terminate qui. Dal 2010, si è accomodato sulla panchina del Giappone. Ed è riuscito ad aggiudicarsi la Coppa d’Asia 2011, divenendo l’unico allenatore italiano a vincere un trofeo in qualità di C.T. di una Nazionale.

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