Da 11 anni, la stessa emozione di sempre: 23 aprile 2003, Milan-Ajax 3-2

Milan – Ajax 3-2, 23 aprile 2003. In principio fu l’Estadio Santiago Bernabeu. Era il 28 maggio 1969, l’ultimo atto della quattordicesima edizione della Coppa dei Campioni, ma anche il primo atto della rivalità calcistica tra Milan ed Ajax. Finì 4-1 per i rossoneri, guidati in panchina dal Paròn Rocco e trascinati in campo dalle invenzioni di Rivera e dai gol, tre, di Pierino Prati. Un’impresa mica da poco, anche perché dall’altra parte c’era l’Ajax di Michels, Cruijff e Suurbier, l’embrione di una squadra destinata a dominare, una squadra che avrebbe vinto ben tre Coppe consecutive all’inizio degli anni Settanta.

Il 23 aprile 2003 va in scena l’ottavo episodio della serie. Stadio San Siro, ritorno dei Quarti di Finale, si parte dallo 0-0 dell’andata. Ma se per i lancieri c’è in palio “solo” una semifinale, per i rossoneri invece si tratta “DELLA” semifinale. Già, perché la sera prima, grazie alle parate di un super Francesco Toldo, l’Inter perde 2-1 a Valencia, ma si qualifica per il penultimo atto della competizione. Tutta Milano, e non solo, aspetta l’EuroDerby. Certo, presentarsi al fischio d’inizio quattro giorni dopo lo 0-1 interno rimediato contro l’Empoli di uno sbarbato Di Natale, non è certo il modo migliore di caricare l’ambiente. Ma in Champions League, si sa, è tutto diverso.

Come dicevamo la gara di andata è terminata sullo 0-0, quello che in molti definiscono come “il peggiore dei migliori risultati in trasferta”. Sì, perché devi vincere ma, prima di tutto, devi evitare di subire gol. E osservando bene le due squadre, non è poi così scontato: da una parte Koeman può fare affidamento sul talento dei vari Chivu, Sneijder, Pienaar, Van der Meyde, Ibrahimovic e Litmanen; dall’altra Ancelotti deve fare a meno dello squalificato Gattuso e degli infortunati Pirlo, Seedorf e Serginho. Insomma, si può dire che il proverbiale sopracciglio di Carletto, abbia passato sicuramente momenti migliori.

Ma i dubbi, le incertezze e le paure vengono spazzate via nel giro di quarantacinque minuti. I rossoneri partono forte: destro di Rui Costa, fuori di un niente; destro di Brocchi, miracolo di Lobont. La squadra di Ancelotti è padrona del campo ed il gol, come si dice in questi casi, è “nell’arie”, è “maturo”. E puntualmente arriva, alla mezzora di gioco. Sheva scappa sulla destra e mette dentro un cross, il pallone è deviato da un difensore ed assume una traiettoria imprevedibile; spiove proprio al limite dell’area piccola dove c’è appostato lui, il solito Pippo Inzaghi, che schiaccia in rete di testa: Milan 1, Ajax 0. Ecco, questo è il classico gol “alla Inzaghi”. Uno che, dicono, non è forte né fisicamente, né tantomeno dal punto di vista tecnico, ma che sa fare solo una cosa, che poi è quella che conta: il gol. Ed è un gol importantissimo. Il Milan spinge e cerca di chiudere il discorso con i soliti due là davanti, Sheva e Pippo, ma non trova il varco giusto. L’Ajax? Non pervenuto, ma manca ancora un tempo…

Gestire il risultato, o cercare il raddoppio? Mentre il Milan pensa al da farsi, l’Ajax, che deve assolutamente segnare, si riversa nella metà campo rossonera. Ibrahimovic, che lì, in quello stadio, lascerà tracce ben evidenti nel corso del decennio successivo, mette prima a lato di testa, poi scalda i guantoni a Dida. La pressione aumenta, Inzaghi di testa manda alto da due passi, ma anche stavolta il gol è “nell’aria”. Trabelsi scappa sulla sinistra, Simic se lo perde e sul cross basso è Litmanen il più veloce. Uno a uno. Tutto da rifare. “Qui si fa dura, bisogna reagire subito”, pensano i tifosi. Detto, fatto. Passano centoventi secondi e Inzaghi decide di restituire il favore a Shevchenko. Altra palla dentro, altra deviazione ed altro colpo di testa vincente. Mancano venticinque minuti, più recupero, al termine. Calma. Ora non si può più sbagliare. O per lo meno non si dovrebbe.
Ancora un cross dalla sinistra, Ibra spizza di testa, Pienaar anticipa tutti, un rimpallo, il pallone che resta lì, ed è ancora Pienaar ad arrivarci. Ora, di minuti ne mancano solo dodici. Siamo sull’uno a due. Il Milan è fuori, e cala il gelo su San Siro.

Ancelotti decide che è il momento di rischiare. Ora o mai più, o la va o la spacca. Fuori Kaladze e dentro Rivaldo. Rui Costa illumina, serve una palla sublime a Shevchenko ma Lobont chiude la porta in faccia all’ucraino. Carletto allora si gioca l’ultima carta a sua disposizione, a cinque minuti dalla fine. “Jon, tocca a te!”. Fuori Simic, visibilmente stordito dall’andirivieni di avversari sulla sua corsia, dentro Tomasson. Jon Dahl Tomasson è arrivato in estate, a fari spenti, ma è uno di quei giocatori che i tifosi amano, per sempre. Mai una parola fuori posto, mai un atteggiamento sopra le righe. E poi segna, segna spesso! Di solito entra dalla panchina e timbra il cartellino, e questa resterà una serata memorabile, soprattutto per lui.
I secondi scorrono veloci, troppo veloci. Koeman fa un paio di cambi, entra anche De Jong (sì, proprio lui, Nigel) e rimane solo da sperare in un miracolo. Maldini effettua, come direbbe il buon Nicola Roggero, il lancio “dell’Ave Maria”, con tutto il Milan “in the box”, Ambrosini fa la torre e chi spunta? Filippo Inzaghi, of course! Pallonetto su Lobont, sfera che vola verso la rete prima del tocco proprio di Tomasson, che la spinge in porta da zero metri. Stop!

Quanti di voi hanno trattenuto il fiato? Quanti sono rimasti con l’urlo strozzato in gola per paura di un fuorigioco ai limiti dell’assurdo? Tanti, tantissimi, eccetto uno: Pippo Inzaghi. Lui, meravigliosamente tarantolato, è già sotto la curva, in piedi sui cartelloni pubblicitare ad esultare come un ossesso. Difficile dire se si sia accorto del tocco del compagno di squadra, ma probabilmente no. Quelli dell’Ajax sperano in una bandierina alzata, speranza vana. Arriva il triplice fischio. Il Milan è in semifinale!

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