Pablito Torres

Meno male che c’è Andriy che crede in Torres, perché io purtroppo non ci credo. Non ci credo a lui come a un po’ d’altri i cui nomi leggo su questa Gazzetta di sabato pre-derby, una di quelle vigilie mica troppo giuste, in cui pagheresti un piccolo supplemento di qualcosa a caso per essere smentito nei tuoi pensieri, nelle tue sensazioni da tifoso. Allora per scavarsi una trincea di speranziella, e soffermandomi proprio su Torres, sul Nino un po’ triste, un po’ solitario e abbastanza final, mi sono appellato allo spirito di Paolo Rossi.

Lui, Pablito, l’eroe dell’82. Vi ricordate? Il suo mentore Giussy Farina lo raccolse dalla Juventus nel dopo-Heysel, ma la sua vena di grande finalizzatore, ponte ideale tra due fenomeni dei 16 metri quali Gerd Mueller e Pippo Inzaghi, era ormai esaurita. Rossi arrivò al Milan nell’estate 1985 con le pile scariche, dopo una carriera fulgida alla faccia di menischi inesistenti e (ingiusta) mannaia calcioscommesse, che lo fermò sul più bello. Per sovrammercato, alla prima partita di Coppa Italia, a Genova, Paolo fece ancora crac fermandosi per altri due mesi e rotti. Tornò, una domenica, col Pisa, ecco finalmente il tridente dei sogni (ehm) con Hateley e Virdis. Ma arrancava, faceva fatica, dava letteralmente la sensazione di non reggersi in piedi, di non crederci più. Liedholm, però, insistette, esattamente come insistette Bearzot in Spagna dopo le prime, disastrose performances di Pablito nella prima fase. E alla quarta presenza, il derby. Noi in casa, loro fuori, il solito San Siro strapieno di tifosi, bollori e un pochetto anche di escrementi sottoforma di un illuminante striscione estratto dai Boys della Nord. “Milanisti ebrei, stessa razza, stessa fine” c’era scritto. Chi c’era, io c’ero, non dimentica che mentre la polizia traccheggiava, fu Peppino Prisco a scendere giù dalla tribuna e, dal campo, a ordinare con chiarissimi gesti di fare sparire quell’oscena mondezza da stadio. Poi si cominciò a giocare, è più che a Milan-Inter sembrò di essere al Sarrià, a Barcellona, quell’assolato giorno di inizio luglio. Come al Sarrià, al minuto 5, la Fenice Pablito risorse dalle sue ceneri: si materializzò dal nulla in mezzo all’area, puntuale all’appuntamento con uno dei non rari assist di Zar Pietropaolo il Grande. Controllo a seguire a evitare il difensore, tocchetto raffinatissimo sull’uscita a gamba avanti di Zenga, gol.

La sceneggiata di San Siro rossonero fu molto simile a quella in occasione della zuccata di Hateley, 13 mesi prima: il Pablito col pugnetto prima alzato, poi stretto vicino al fianco, con la maglietta tirata giù fino al palmo della mano. La goduria durò una mezz’ora, poi l’infortunio di Virdis e un uso un filino spregiudicato (eufemismo) della tattica del fuorigioco da parte di capitan Franz trasformarono l’euforia in un cagotto continuo. L’Inter pareggiò, sbagliò gol in quantità industriale e infine, al 65′, andò davanti con un rigore di Brady. Siamo out, ragazzi. E invece no. Ancora il replay del Brasile, ancora Rossi, un gol pressoché uguale a quello del definitivo 3-2 del Mondiale: ciabattata di Wilkins dal limite, Pablito prodigiosamente la incoccia riuscendo a tenere la palla attaccata al piede; leggero decentramento per evitare il ritorno dell’altro Baresi e sinistro incrociato nell’angolino sulla solita uscita di Zenga. Un gol splendido, un Bignami dell’arte finissima del gol targata Paolo Rossi, il tutto sotto la Sud impazzita. Finì 2-2, capimmo bene che non avremmo vissuto un anno in tricolore, ma sì domeniche mondiali, con questo Pablito vestito di nuovo. Si, si, credici, imberbe milanista. Inizio e finì lì, in quel derby di inizio dicembre 1985, il Rossinero. Nel resto della stagione, nessun altro gol in campionato, e, quel che è peggio, un crescendo alla rovescia di prestazioni deboli, molli, persino malinconiche sapendo quello che questo fenomeno delle aree di rigore aveva rappresentato fino a poco tempo prima per il calcio italiano.

Solo in un altro tabellino di una partita del Diavolo, alla voce “marcatori”, trovate scritto “P.Rossi”. È di Coppa Italia, 1-1, avversario l’Empoli. L’Empoli al quale hanno realizzato il loro unico gol milanista Bobo Vieri, “Ikea” Andreas Andersson, l’Empoli al quale segnò una delle sue due reti complessive a San Siro Beppe Galderisi, e l’altra la fece proprio all’Inter, guarda te. L’Empoli unica squadra finora timbrata da Torres. Dai, bisogna crederci a questi strani giri della memoria e del bidonismo. Ho deciso che domenica sera la metti, Nando. Possibilmente fai come Rossi, facciamo due, dai. Sapendo benissimo quale sarà poi il finale della storia, ma andrà benissimo così, noi milanisti sappiamo essere grati anche per una volta sola.

Impostazioni privacy