Una via per Daddy Herbie

Nel giorno convenzionalmente accettato per il genetliaco dell’Associazione Calcio Milan (nata probabilmente il 13 dicembre, ma questa è un’altra storia), tous le monde si ricorda, scrive, parla e schizza minibiografie di Herbert Kilpin, Daddy Herbie per noi suoi discendenti di gruppo sanguigno. Questo baffuto signore un po’ distinto e un po’ rozzo, perfetto middle class britannico dell’epoca sua, è formalmente uno dei fondatori del Milan Cricket and Football Club: ma nella sostanza – è scritto – è IL fondatore, quello che è partito da Genova con l’idea, quello che ha tirato dentro gli altri che c’erano, più o meno avvinazzati, quella sera all’Hotel du Nord, futuro Principe di Savoia, futura Piazza della Repubblica.

Il vecchio Herbert è il padre del Milan. E consequenzialmente è il padre del football moderno a Milano. Una roba grande anche se non la vedi con gli occhi con iride rossa intorno alla pupilla nera, una roba che persino gli interisti riconoscono al netto della fastidiosa consapevolezza di derivare da lì, da quei colori, povere anime che sono. Una cosa talmente grande per la cultura, la storia, il costume, persino la società di questa città da non venire mai e poi mai lucidata, messa in mostra. È agli atti che sia stato un privato cittadino come Luigi La Rocca, storico e collezionista assoluto dell’Associazione, ad andare a ripescare le spoglie di papà Herbert da un’anonima (ma de bon: lapidi zero) fossa del Musocco e iniziare un lungo e non facile percorso – sostenuto solo nel finale dalla società – per portare Daddy al Monumentale, prima in un comunissimo colombario e quindi, finalmente, al Famedio, dove sono iscritti i tanti che hanno iniettato grandezza e orgoglio a questo paesone troppo cresciuto chiamato Milano.

Grazie Luiss, allora, e grazie per nulla al Comune di Milano, rimasto a braccia conserte e tuttora piantato a terra. Quando si è trattato di riconoscere, onorare, intestare, Palazzo Marino si è ricordato solo dell’altra metà della mela. Berlusconi in politica non ha aiutato, certo: ma che la toponomastica milanese sia stata coniugata solo al nerazzurro, fa fumare un poco gli zebedei. San Siro, altrimenti detto la Scala del Calcio, è stadio costruito da un presidente del Milan – Piero Pirelli – e rimasto di proprietà del Milan fino al secondo conflitto mondiale. E dal Milan soprattutto è stato illuminato a livello internazionale in notti leggendarie. Bene, San Siro è intitolato a Giuseppe Meazza, grande fuoriclasse e altrettanto grande bandiera interista, passato dal Diavolo a fine corsa per un paio di anni che da allenatore non mancava mai di ricordare schifato ai suoi giovani allievi. “Ragazzi, vi prego, ho vestito quella maglia, dovete riscattare questa vergogna“, diceva ai suoi Primavera il Peppin prima dei derbies giovanili: Peppin, con immenso rispetto e genuflessione al tuo ricordo, ma vai in mona, va’. E da qualche anno per entrare al “Meazza” (lo scrivo solo qui, per l’occasione: questo stadio si chiama San Siro, e basta) si staziona magari in piazzale Angelo Moratti. Sì, lui, Moratti senior, deus-ex-machina dell’Inter di Herrera, Corso e Mazzola, papà di Massimo. Lo spazio è quello antistante i cancelli dall’11 al 16, allo scoprimento della targa non mancava nessuno, della Milano comunale e di quella nerazzurra. Da lì, poi, si fa un pezzetto in auto nemmeno troppo lungo, quartiere Bonola, ecco via Armando Picchi, il capitano di quella squadra creata proprio da Angelo Moratti. A quanto pare c’è solo l’Inter, la nota canzoncina nera e azzurra è fischiettata anche a Palazzo Marino.

Nereo Rocco non è mai esistito, forse, e nemmeno Gunnar Nordahl, o Nils Liedholm. Troppo difficile evidentemente ricordarsi anche del citato Piero Pirelli, un cognome che sarebbe almeno suonato bipartisan oltre che essere sinonimo del patrimonio economico e sociale di Milano. Però adesso sarebbe proprio ora di cambiare verso – espressione in voga – cominciando proprio dall’origine della specie, da quello che ha portato il pallone: Herbert Kilpin, sì. Una via, una piazza, un largo, perché non proprio quello antistante alla nuova Casa Milan? Sarebbe bello, bellissimo, il nuovo che pone le basi su qualcosa che rappresenti le radici, l’inizio e il futuro di questa straordinaria storia chiamata Milan, anzi, chiamata calcio, se ci pensiamo bene.

La società, portata fisiologicamente a dividere il tempo prima e dopo il 1986, faccia uno sforzo e contribuisca ad affermare il suo Dna, il suo primato, che è fondamentale. Associazione Calcio Milan, piazza Herbert Kilpin. Senti come suona bene. Senza numero, anzi no, 1899. Aldo Rossi non si offenda, dai, fosse stato Rossoneri, almeno. Facciamoci questo regalo per uno dei prossimi compleanni, per noi, per Daddy Herbie troppo a lungo dimenticato. Daddy che, sicuro come l’oro, si appropinquerebbe al palo della nostra porta, si piegherebbe in un secondo e tirerebbe una sorsata celebrativa dalla fiaschetta che da bravo nottinghamese si teneva sempre appresso. Happy birthday vecchio amatissimo Milan, happy birthday Dad, e sempre grazie per avere portato il pallone, e averlo portato proprio qui.

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