George Weah, il ricordo del Re nero

Se lo si è visto giocare, è impossibile toglierselo dalla testa. Se lo si è sentito parlare, è impossibile toglierselo dal cuore. George Weah, all’anagrafe George Manneh Oppong Ousmane Weah, nato a Monrovia, Liberia, il 1° ottobre 1966, è un uomo la cui storia ha incrociato per 4 stagioni quella del Milan. Un incrocio da cui è scaturito un connubio micidiale.

Ha fatto bene Leonardo, più o meno un anno fa, quando allenava l’Inter, a dire che Eto’o gli ricordava Weah, giocatore con cui Leo ha giocato, segnato e vinto, soprattutto nel magico campionato ‘98-‘99. Ha sbagliato però a omettere che Weah è stato più forte di Eto’o, più potente, più cecchino, più completo. Non ha vinto come Samuel, ma il giocatore africano più forte della storia resta lui. Lottano, ma per il secondo posto, Drogba e il camerunense. Il gradino più alto è ancora lì, “inattaccato” e forse inattaccabile.

Nello specifico: Weah arriva al Milan nel maggio 1995 (proviene dal Paris Saint Germain) e debutta contro il Padova il 27 agosto 1995. Gli bastano 6 minuti per mettere la capoccia su un pallone ed entrare nella classifica marcatori del campionato. Inoltre si inventa l’assist per Baresi, che segna così l’ultimo gol della sua gloriosa carriera.

A dicembre Weah entra nel’Olimpo degli Immortali: il Pallone d’Oro per la prima volta è assegnabile anche a giocatori non europei. Sembra fatto apposta per dare il trofeo proprio a lui, al Re Leone, George Weah. Primo e ultimo (finora) giocatore africano a vincerlo. E ironia della sorte, appena le barriere europee sono state abbattute il premio è andato in Liberia, e non in Argentina o Brasile, vere patrie del pallone. E a far pendere la scelta del prestigioso riconoscimento non sono stati certo i suoi successi di quell’anno (solo una Coppa di Francia col Paris Saint Germain), ma solo ed esclusivamente le sue inimitabili doti tecniche e fisiche e i 7 gol segnati in Champions League, che ne hanno fatto il capocannoniere di quella edizione. Oltre al pallone d’oro, Weah quell’anno ha vinto anche il Fifa World Player.

La sua prima stagione si concluse con la conquista dello scudetto numero 15. Per lui 11 gol in 26 partite. Non un record, ma i gol sono stati tutti decisivi. Diventa un’icona rossonera, le sue magliette col numero 9 sono le più vendute, tutti al bar cercano di misurare la forza del liberiano, soprannominato Re Leone, e il  “Tutto bene?” con accento inglese che Weah, nudo, dice in un famosissimo spot di un deodorante diventa un classico tormentone degli anni ’90.

Le due stagioni successive rappresentano il biennio nero del Milan, che con Tabarez e i rientranti Capello e Sacchi si classifica 11^ e 10^. Weah segna 29 reti totali, è l’attaccante più in forma, ma se la squadra non lo supporta c’è poco da fare.

Nella prima giornata del campionato 1996-1997 Weah entra anche nella storia dei gol. È l’8 settembre 1996, il Milan debutta in casa, contro il Verona. Gli ospiti vanno in vantaggio, ma una doppietta di Simone rimette le cose al loro posto. Poi, l’incredibile. Da un calcio d’angolo per gli scaligeri la palla arriva a Weah, che parte in progressione e in contropiede. Ne supera uno, due e tre in velocità; altri tre gli si paiono davanti, ma con un gioco di prestigio ed un rimpallo favorevole riesce a districarsi e a sgusciare da solo palla al piede, lasciandosi dietro altre tre maglie gialle attonite. Un settimo avversario è superato mandando la palla da una parte e continuando la corsa dall’altra. Riprende la sfera, entra in area, i metri percorsi sono quasi 100, tira: rete! San Siro non ha mai visto un gol più bello, tra le migliaia di partite giocate fino a quel momento su quel terreno da Milan e Inter. Nasce il gol coast to coast. Per altri è il gol totale e questa definizione è più azzeccata, perché evoca tutte le qualità che dovrebbe avere un attaccante di razza, e che Weah ha mostrato, tutte compresse in una corsa di 16 secondi. Il gol più bello mai segnato da George e da un giocatore africano, uno dei più splendidi della storia del Milan e della Serie A, uno dei più indimenticabili della storia di questo sport. Dire che è da cineteca è quasi riduttivo.

La sua quarta e ultima stagione è quella che porta alla conquista del 16° scudetto. Weah è titolare fisso sia nel tridente “Zaccheroniano” con Bierhoff e Leonardo, nel ruolo di ala, sia nell’ 1-2 con Boban ispiratore dietro le due punte (Oliver e George ovviamente).

Segna 8 reti in 26 partite, un numero considerevole, se si pensa che quell’anno il 50% dei gol è stato fatto da Bierhoff. E una delle vittorie più importante sulla strada per il titolo è stata decisa proprio da lui. Doppietta a Torino contro la Juventus, un gol di testa e uno di destro su assist fatato di Boban. La cartolina di lui che corre mano nella mano con Zvonimir sotto la curva ospite è una delle più belle cartoline di quella esaltante annata e di quella incredibile rimonta. Inoltre festeggia con un gol la 100^ partita con la maglia rossonera a Udine, nel 5-1 che portò il Milan a -1 dalla Lazio e i giornali di tutta Italia a titolare il giorno dopo “Uragano Milan”, “Ciclone Milan” e via dicendo.

Nel gennaio del 2000, a metà della stagione 1999-2000, (10 presenze e 4 reti) lasciò Milano a 34 anni per trasferirsi al Chelsea. Resta a Londra 6 mesi. Seguono altri 6 mesi al Manchester City, e ancora metà anno all’Olympique Marsiglia. Una stagione intera al Al jazira, negli Emirati Arabi Uniti, in cui segna 14 gol in 8 partite, chiude la sua carriera.

Il bilancio complessivo con il Milan è di 147 partite e 58 gol.

Il re nel suo caso è stato nudo solo in un spot. Ma soprattutto è nero. Weah non dimenticherà mai le sue 4 stagioni al Milan. E il Milan non scorderà mai il suo unico, vero e inimitabile Re Leone.

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