Vecchi e la Coppa con le mani

Appuntamento con Sympathy for the Devil:Milan, storie e rock and roll: uno spazio a cavallo tra passato, presente e future al ritmo di un brano che evoca più di una suggestione sull’argomento proposto.

CON LE MANI, ZUCCHERO (1987)
“Con le mani preghi Il Signore
Guarda un po’ più in basso, guardami
Apri le finestre, con le mani
Con le mani se vuoi, puoi dirmi di si.
E provare nuove sensazioni
Farti trasportare dalle emozioni!”

Banner-SIMPATY-FOR-DEVILCon le mani preghi il Signore, dice la canzone della rockbluessoulpopstar de noantri. Ma pure con le mani pieghi la Signora, la fermi, la spingi via, lontano dalla vittoria, dalla solita parte in cui – Gianni Rivera dixit – la palla rotonda finisce per rotolare. Con le mani, mani nude poi, Villiam Vecchi da Scandiano schiaffeggiò la prepotente Juventus e accompagnó il Milan al successo nella finalissima che oggi va a ripetersi. Villiam con il maglioncino nero con bordo rosso e le maniche leggermente tirate su, quasi a darsi un look da meccanico generico della parata, palmi nocche e falangi opposte a palloni che rispetto a questi di oggi parevano obici. L’aveva già fatto contro il Leeds un mese e mezzo prima, lo rifece a Roma, Vecchi, il 1.o luglio del ’73: due Coppe abbrancate da un portiere, per tamponare un anno disgraziato.

ritaglio vecchiCoppa Italia, Stadio Olimpico in Roma, alla presenza del Capo dello Stato e via pomponeggiando. La canzone di oggi è apparentemente la stessa del 1973, bianconeri e rossoneri a contendersi la Coppa allo stadio nazionale. Cose rimaste invariate rispetto ad allora: la Juve ci arriva con lo scudetto sulle maglie e con quello nuovo già in tasca, e il Milan no. Cose variate: a perdere quello scudetto all’ultimo tuffo era stato proprio il Milan, reduce dal massacro della Fatal Verona. Quella vera, eh? Non quella di oggi, agitata solo in nome di una sconfitta tra le tante: quando arrivi settimo, di fatale c’è solo la tua pochezza. Va beh. I muli di Nereo Rocco erano fatti di un’altra pasta rispetto a questi e lo dimostrarono proprio nel girone di semifinale di Coppa Italia, preso sul serio e con gamba ancora buona a dispetto dello sfacelo psicologico seguito al massacro del Bentegodi. La Juve, nell’altro raggruppamento, fece il suo dovere nonostante – anche qui – fosse arrivata una botta, e che botta: la sconfitta in finale Coppacampioni, Zoff inginocchiato di fronte a Johnny Rep, Cruijff e tutti gli altri space cowboys dell’Ajax. A inizio luglio, dunque, l’occasione di farla fuori, di mettere un timbrino sulla carta delle ostilità che le due squadre stanno alimentando vicendevolmente da almeno due stagioni in cui si sono largamente imposte come punte di diamante del nostro movimento. Fa un gran caldo, e pure senza la Serie A a 20 club e le pletoriche formule delle Coppe, le due rivali sono sulle rotule. E il Milan, se chiamasse Houston come l’Apollo 13, non denuncerebbe di avere un problema, ma ben due: l’assenza di Gianni Rivera, squalificato, e l’empasse psicologica di volere, dovere vendicarsi ora e subito di chi gli ha tirato via il piatto con la Stella da sotto il naso. Per non sentirsi dire, finisse male, che “avete visto, siamo superiori, il campionato l’hanno vinto i migliori, alla fine”. Sono problemi che si sentono come la caldazza dell’Olimpico, e i primi 30 minuti rossoneri infatti sono un mezzo disastro: gol della Juve – stranamente irregolare, ma guarda un po’ (fallo su Dolci di Bettega che poi segna) – milanisti annaspanti di fronte alle folate gobbe, e Vecchi che riprende il monologo, anzi, il “manologo” di Salonicco, nella finale europea: mani che si arrossano a suon di pallonate, l’unica pioggia è quella di conclusioni e di cross verso la sua porta.

Ma 0-1 rimane, e va a finire che già prima dell’intervallo i cavalieri di Madama si ammosciano un poco, e viene fuori pian piano lo spirito Paròn. Zoff non fa come Vecchi: usa i piedi per salvare il pari – inusuale per lui -, mentre le sapienti mani – ancora più inusuale – le usa al 40′ per andare a sbatacchiare a terra Chiarugi, che è riuscito a infinocchiare l’arbitro Angonese e a farsi fischiare un rigore che, insomma, ehm. Non c’è Rivera, e allora c’è Benetti: anche il grande Dino ci tiene alla pelle, e si sposta sulla botta centrale e omicida di Romeo. Deuce, parità, direbbe il giudice di sedia del tennis. E da lì in poi comincia una sfida tendente al ribasso, dove la stanchezza e la tensione hanno gioco facile sulle cose belle da campo. Il Milan c’è, la Juve fa lavorare ancora il Villiam mentre Longobucco e Spinosi, Dolci e Benetti sgarriscono colpi più o meno proibiti. Le ombre della sera diventano quelle dei supplementari, dove il Romeo centra il palo e sembra il trailer della rogna, e della conseguente beffa imminente. Ma ai calci di rigore il Vecchi surclassa il Vecchio (che diamine, 31 anni compiuti, Zoff) con grande sorpresa di tutti.

coppa italia 1Tempo dopo si parlerà in tutto il mondo di Ducadam, il portiere della Steaua Bucarest capace di sventare tutti i penalties validi per afferrare la Coppa dei Campioni. Con 13 anni di anticipo, Villiam lo sguantato fa lo stesso, e non se lo ricorda nessuno: se la Juve riesce a buttarne dentro due è solo perché l’ineffabile Angonese fa ripetere altrettanti tiri (di Causio e Cuccureddu) parati al primo giro. Cinque rigori, anzi, sette, quattro parati, uno fuori, il tutto mentre Zoff non ne ferma manco mezzo ai milanisti. E riesce la missione non certo impossibile, ma difficile, delicata, dura sì. Il giro di campo e le foto mostrano gente felice ed esausta, nella schierata finita negli almanacchi si infila anche un tifoso non vedente, con la tuta del Milan, è un amico di Benetti che si era già imbucato anche nelle celebrazioni della Coppa Coppe. Ci sta, e ci sta pure bene. Rappresenta la piccola grande rivincita dei cacciaviti ancora intenti a ricostruire il fegato sbranato, ridotto a brandelli dal 5-3 e dallo scudo perso a 3 minuti dalla fine. Dietro a lui, e al quadricipite spianato di Romeo, il Villiam Vecchi. Le mani riposano finalmente sui fianchi, l’aria è quella di uno tranquillo, che sa di aver fatto il suo. Una cosa normale.

ritaglio corriere sportivoNegli spogliatoi un gran caldo, e un bel po’ di parole: gioia, recriminazioni, il rigore non c’era, Chiarugi è un tuffatore, parlano loro che il gol era da annullare, Bettega picchia, Benetti di più, eccetera. Il copione di prammatica tra due squadroni che avevano stradominato la stagione in Italia e in Europa, e che uscendo dall’Olimpico se le stavano già dialetticamente promettendo per l’anno a venire. Buone vacanze, e ricominciamo a suonarcele a settembre. Quando, invece, si presenterà solo la Juve, e mica poi benissimo anche lei, tra l’altro. Il Milan, dopo un calciomercato fallimentare, tornerà in campo con le gambe e la testa ancora in tilt post-Verona, e con un Rocco ancora più stanco, non più capace di tenere solidamente la barra, come ha sempre fatto. Le mani arrossate di Vecchi saranno bianchissime, gelate ad Amsterdam, quando prenderà sei pere dall’Ajax in Supercoppa, e raccoglieranno dalla rete molti palloni anche in campionato.

coppa italia 2Proprio il ritorno in campionato con la Juventus (2-0 sul velluto per Signora, 17 marzo 1974) sarà l’ultima apparizione in campionato con maglia nera e bordo rosso: sparirà dai radar a causa di dissapori con Maldini senior, che lo farà clamorosamente fuori a pro del mitologico Pizzaballa. E nemmeno un anno dopo le sere dei miracoli di Salonicco e Roma, il Villiam prenderà l’aereo per Cagliari, attaccato un cartellino come merce di scambio per Ricky Albertosi. Così va il mondo, e quindi il calcio, che è la stessa cosa. L’erede di Cudicini, il paratutto, il Milan si è fatto in casa un altro portierone che durerà anni: questo dissero di Vecchi nell’estate del ’73, questo dicono oggi di Donnarumma. Tieni a mente Gigio, la palla sa rotolare in fretta in fondo al sacco quando tu pensi di averla ormai presa; e per quanto riguarda le mani, a Roma fai un esperimento: non mettere i guanti. Hai visto mai?

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