Inglesi, fiaschetterie e futuro: 118 anni di Milan

Occorre avere la penna lustrata e la concentrazione massima per buttare giù un articolo il giorno 16 dicembre. Non è una data come le altre e in un calcio sempre più povero di tradizioni e colmo di business, creste, tatuaggi, selfie e via dicendo, con una società impoverita di relazioni e satura di tecnologia, è di vitale importanza continuare a tenere alta la memoria storica che è il polmone di uno sport come il calcio.

Ho sempre creduto di dovere parte della mia vita a quel tizio baffuto ritratto al centro di una foto che rincorre uno degli antropologi palloni di inizio Novecento o immortalato in un’altra istantanea dove è impettito e fiero con le mani ai fianchi e con indosso una veste a righine strettissime, rosse e nere, con un basco in testa e mutandoni bianchi fermati da spessi calzettoni. Il 16 dicembre è il giorno del Milan, è il giorno di Herbert Kilpin, nato a Nottingham (sulla sua casa natale c’è da poco affissa una targa commemorativa e lo stemma del Milan) e traslato al “Monumentale” nel Famedio, la parte di cimitero che dà lustro alle personalità che hanno fatto grande Milano, e di un manipolo di guasconi pallonari che stavano esportando il football al di fuori della loro isola. Non potevano vivere abbastanza per rendersi conto di quello che stavano facendo in quei giorni del 1899 all’Hotel du Nord (attuale “Principe e Savoia”) in piazza della Repubblica. Ci hanno donato e poi tramandato questi colori, che i nonni e i padri hanno certamente passato alle generazioni di oggi, come anche nel caso del sottoscritto. Resta da vedere se piccoli rossoneri stanno nascendo, in un momento storico non certo favorevole e sotto una congiunzione astrale estremamente sfavorevole per coppe e scudetti che continuano a girare alla larga da Milanello. Padri, nonni, abbiamo ancora bisogno di voi.

Non solo la fondazione, oggi, della quale ricorre il centodiciottesimo anniversario (la data del 16 è convenzionale, secondo le storiche scritture si pensa comunque a un giorno di quella settimana) ma anche i dieci anni tondi dall’ultimo trofeo internazionale di una lunga serie e forse dalla fine di un certo tipo di Milan. Quello in cui potevi riconoscere anche te stesso guardando le facce di Cesare Maldini, Rivera, Baresi, Ancelotti. Quello che lasciava poche speranze a chi veniva a San Siro, quello dello stile “casciavit” e sì, anche delle grande vittorie.

Quei calzettoni, quelle scarpe chiodate, quel basco, quelle riunioni alla Fiaschetteria Toscana di via Berchet, insomma tutto quel carico di partenza del Milan Cricket and Football Club, hanno percorso un lungo viaggio sino ad arrivare addirittura in Giappone, per l’ennesima volta tra l’altro, il 16 dicembre del 2007. Il calcio genuino e romantico non esiste quasi più, la forza tramandata nei decenni da quei signori in bombetta è andata pressoché svanita. Tra vagonate di parametri zero, scritte autocelebrative sulla maglia, grandissimi giocatori presi a fine carriera, meteore, ritorni romantici per distrarre la tifoseria, improbabili trattative per la cessione di una società ridotta a fare l’elemosina e, dulcis in fundo, le crociate contro i procuratori, quel giorno nel Sol Levante il sole è proprio tramontato. Possiamo stare a discutere che sia stato salvato qualcosa di buono, certo, ma in senso generale, pare che spirito ed essenza del vecchio Milan siano rimasti a Yokohama e a quel 4-2 al Boca Juniors, quarto titolo mondiale della storia rossonera.

La cosa che fa male è la totale incertezza sul futuro prossimo e soprattutto il fatto che di calcio, in questo paese, se ne parli sempre poco o nulla: financial fair play, voulontary agreement, settlment agreement, chiedetelo a quei signori in bombetta che pure erano inglesi ma non capirebbero nulla di queste cianfrusaglie finanziarie. Tornare indietro non si può, vorremmo comunque ritrovare un po’ di storia e di amor proprio nel giorno della nostra nascita, perché in fondo, tutti noi, a dispetto delle generazioni, siamo nati il 16 dicembre del 1899. E un futuro incerto non può cancellare un passato straordinario: anche per questo rilucente patrimonio che porta in seno, il Milan deve assolutamente tornare grande. Prosit.

 

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