Miha ha pure da smentire la “cabala” del tecnico straniero

Christian Pradelli è giornalista professionista e direttore di SpazioMilan.it dalla sua fondazione, l’8 marzo 2011. Dirige parallelamente il free-press pomeridiano MI-Tomorrow. Collabora con La Gazzetta dello Sport. Conduce il varietà sportivo “Falla Girare” su Radio Reporter ed è opinionista per Milan Channel. È la voce ufficiale del Milan per TopCalcio24, canale del gruppo Mediapason (canale 114 del DTT).

Non c’è di certo da stupirsi quando, leggendo la biografia autorizzata di Silvio Berlusconi curata da Alan Friedman, si scopre che i tre allenatori nel cuore del presidente rossonero rispondono ai nomi di Arrigo Sacchi, Fabio Capello e Carlo Ancelotti. Del resto, sono stati loro gli allenatori che hanno portato più trofei nella bacheca del Milan. Quelli che, pur con stili, giocatori e moduli diversi, hanno toccato le vette più alte. In Italia come in Europa. Un comune denominatore, però, è l’italianità. Parola non di poco valore per il Presidente che non manca mai di sottolineare la sua predilezione per un Milan “azzurro”.

La storia insegna che i rapporti coi tecnici stranieri non sono mai stati idilliaci. Nate sotto i migliori auspici, le relazioni con Nils Liedholm, Oscar Washington Tabarez e Fatih Terim non si conclusero felicemente. Per non parlare dei più recenti esempi di Leonardo e Clarence Seedorf. Questione di visioni differenti sul calcio, da un lato, di cultura generale e caratteri personali, da un altro. Segno che fino ad oggi Berlusconi non si è “acchiappato” molto con teste non propriamente italiane, scelte per dirigere la complessa (e controversa) macchina di Milanello.

Sinisa Mihajlovic non fa eccezione in questo ragionamento. Non perché esista un evidente problema di rapporti personali con Berlusconi quanto per il fatto che la quadratura pretesa e difesa dal tecnico serbo si è già scontrata con logiche più legate a tradizioni che a reali valori in campo. Al di là di qualsiasi “cabala”, è come se Mihajlovic abbia ancora tanta strada da scalare per far digerire metodi e atteggiamenti non propriamente “storici” dalle parti di Milanello. L’allenatore ha scelto che a sbagliare, nel caso, vuole essere lui con le proprie idee e la propria testa. Atteggiamento che l’ha portato a compiere scelte rischiose (vedi Donnarumma) come ignorare gerarchie o eventuali suggestioni interne allo spogliatoio. Insomma, tutto lontano dagli stereotipi del “vogliamoci bene ad ogni costo”. Piuttosto è lui che prova a plasmare il gruppo con estemporanei inviti a cena nel centro di Milano. Tradotto: metodi nuovi, magari mai visti al Milan, che daranno ragione a Mihajlovic fino a quando andranno di pari passo col raggiungimento degli obiettivi.

Sabato prossimo ci sarà già una grande prova del fuoco. La Juventus accarezza l’idea di scavalcarci, ma, allo stesso tempo, per la prima volta da tre anni a questa parte, si va a Torino con la consapevolezza di potersela giocare bene. Sarà una salita, soprattutto pensando da dove di riparte: Milan-Atalanta 1-1, con tanto di Berlusconi visibilmente irritato per risultato e non-gioco.

Twitter: @Chrisbad87

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