Quando Milan-Roma significò scudetto

Era l’ormai lontano 2 maggio del 2004 quando Milan e Roma, in un caldo pomeriggio primaverile, si giocarono una vera e propria finale scudetto. Per il Milan una vittoria avrebbe significato chiudere matematicamente la pratica scudetto, una sconfitta avrebbe invece alimentato la corsa della Roma che, a soli 3 punti di distacco con 2 giornate ancora da disputare, avrebbe potuto continuare a sperare nella vittoria finale.

Ancelotti sceglie Kakà dietro le punte Shevchenko e Tomasson mentre  la Roma risponde con Totti-Cassano. Dopo nemmeno due minuti di gioco è il Milan a portarsi in vantaggio grazie proprio al goal di testa dell’ucraino su un cross del nuovo fenomeno brasiliano. Partita dominata in lungo e in largo: imperioso Cafù , monumentale Nesta, sublimi Seedorf e Pirlo. Prestazione d’orchestra e di singoli, almeno finchè la partita rimane tale e i supporters giallorossi non iniziano a rovinarla con un assurdo lancio di fumogeni. Prima timida poi nervosa,la Roma non combina granchè e a fine gara, dopo ben 7 minuti di recupero concessi dall’arbitro Messina, ecco che Il Milan si laurea campione d’italia.

Durante la partita, ma soprattutto il giorno dopo, non ci furono soltanto festeggiamenti e elogi per una squadra che aveva dominato per tutta la stagione, ma anche moltissime polemiche arbitrali dovute a un rigore non concesso alla Roma per fallo di mano di Gattuso. In fin dei conti però, come scriveva Paolo Condò sulla Gazzetta: “Non c’è gomito alzato, cecità di arbitro, né vile agguato di lanciatori romanisti di petardi a togliere un briciolo di nobiltà a questo scudetto. Sontuoso, regale, stra meritato”. Oggi, a 7 anni da quella stagione, il Milan ritrova nuovamente sulla strada verso la gloria la Roma di Totti. Per la serie a volte ritornano.

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