Cronache del trentennale: “Silvio, Milano ti ama”. La nostra storia

E adesso che il 10 febbraio se ne è andato, e tutti – quasi tutti – hanno cannato il vero compleanno dei 30 anni di B., si può provare a mettere insieme tutti i cocci di memoria catalogati laggiù, tra la guerra del Waregem e il 20 febbraio, lì sì che ci fu il lieto fine e il lieto inizio della saga. Settanta giorni di pane duro, solo gli ultimi dieci di discesa verso la valle d’or, l’annuncio dell’affare fatto con Gianni Nardi il 10, il passaggio vero di mano in mano delle azioni ex-carta straccia di Farina al gruppo Fininvest il 20, considerato non a caso dagli stessi acquirenti la vera data di nascita di un’altra società, l’AC Milan 1986, l’avremmo capito molto tempo dopo. Il vecchio amatissimo Milan delle striscine si congedava per lasciare spazio al Cavaliere invincibile, unica cosa di cui fregasse qualcosa al tifosi in quei due mesi di sofferenza tra l’altro parecchio complicata da elaborare per il ragazzino rossonero. La Gazza si comprava tutti i giorni, a volte pure il Corsport, ma per i più verdi (ma anche per buona parte del popolone casciavid) era davvero complicato intendere forma e sostanza, o la materia delle macerie lasciate da Farina, che un bel giorno prese e portó il fondoschiena in Sudafrica, lontano dalla zona calda e da una curva capace pure di andarlo a prendere sotto casa. L’unica cosa che si capì bene, a gennaio, è che con un Berlusconi apparentemente sfilatosi dalla trattativa, il Milan stava per andare a ramengo: Irpef non pagata, debiti verso banche e creditori, evasioni fiscali che sbucavano dal gioco di scatole cinesi messo in piedi dal rancher vicentino.

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Il Tribunale era lì, ad aspettare il cadavere del Diavolo: e la domenica, a San Siro, la squadra che incredibilmente navigava a cavallo della terza posizione, la gente riempiva le scalee e parlava a striscioni, quelli che ancora oggi sono appesi da qualche parte negli occhi. Silvio Milano ti ama. Silvio facci sognare. Silvio salvaci dalla vergogna. Silvio il nostro scudetto sei tu, cancella questa società di ladri. Vogliamo Silvio presidente. A Milan-Fiorentina, venne fuori un garibaldino “O Berlusconi o morte”, portato pure sotto la tribuna perché i consiglieri presenti capissero bene il da farsi. Quelli dedicati al transfuga, poi. Farina = Rovina. Farina infame hai tradito la nostra fiducia, pagherai caro, pagherai tutto. Allo stadio come alla manifestazione di piazza, questo era: la partita diventava un contorno. Il giorno più difficile quello di Milan-Sampdoria, con i giornali della mattina che davano per svanito Berlusconi. La società a pezzi se la stava prendendo, per bocca dei dirigenti rimasti alla tolda del Titanic, il petroliere Dino Armani, già vicepresidente nell’era Colombo, pronto a rilevare dal vicepresidente in carica Gianni Nardi il pacchetto di azioni fatto sequestrare a Farina. Non proprio la soluzione agognata dai cacciaviti. Si salvava la pelle, okay, ma addio sogni di gloria, per l’ennesima volta: il “solito” presidente da incrociare le dita per scaramanzia. I simpatici blucerchiati dall’altra parte campeggiarono un enorme “Siete solo dei falliti“, e inneggiavano a Franco Baresi, già finito nel mirino di Paolo Mantovani (ed era verissimo). In Curva Sud si lesse pure un beneaccomodante “Armani boia, Rivera la tua troia”. Oddio. Che c’entrava il Golden Boy? Semplice, accusava la Fininvest di gioco al ribasso, sembrava spingere verso l’altra soluzione, che – magari – lo avrebbe mantenuto in prima fila anche nel post-Farina. Berlusconi, qualche tempo dopo l’ascesa al trono di Via Turati, raccontò che nel colloquio avuto con Armani a gennaio per valutare la possibilità di un’alleanza, il concorrente gli disse che il rischio dell’esposizione era risibile: Baresi alla Samp, Maldini e Hateley alla Juve, e l’esborso iniziale sarebbe stato ampiamente giustificabile. Re Silvio invece non appulcrò mai verbo su un altro partecipante alla corsa del Milan, anzi, due partecipanti. Due secondo le testimonianze di Farina e di uno dei diretti interessati, il finanziere-pressoché faccendiere Parretti. Giussy raccontò che il club era stato venduto a lui e all’immobiliarista Cabassi, un protagonista vero della Milano che oltre che bere lavorava pure. Suo (e della sua famiglia) il Forum di Assago, suo il famoserrimo centro sociale Leoncavallo, sua a quanto pare per qualche ora, qualche mezza giornata anche la cara Associazione, tuttavia scivolata subito dalle mani poco dopo l’accordo, siglato a Parigi. Ma come? Perché? A quanto sostiene Farina, Cabassi & Parretti gli spiegarono che erano arrivate delle pressioni da ambienti molto in alto, telefonate consiglianti di mollare il colpo. “Erano tutti d’accordo, Berlusconi, Carraro, Craxi, una manica di socialisti“, sputerà l’ex presidente al Corriere della Sera molti, molti anni più tardi.

Ma in quel pomeriggio di Milan-Sampdoria (2-2, grande Ray Wilkins, l’imberbe Mancini già capace di farsi odiare), tutto sembrava finito, o meglio, tutto sembrava così lontano da Milano 2, la Fininvest, il magico mondo dorato del Biscione. La Gazza di lunedì 10 febbraio parlava di Dino Armani unico salvagente, la Gazza dell’11 si rivelò invece una sorta di lingotto d’oro, di schedina vincente sotto forma di carta colorata. “Sì, il Milan l’ho preso io“, a fianco un sorriso irresistibile, sopra un nome inconfondibile. Nel pomeriggio precedente, il grande contropiede, perfetto calcio all’italiana, altro che “padroni del campo e del giuoco”: accordo lampo con Gianni Nardi sul dissequestro delle azioni di maggioranza in suo possesso in cambio dell’immediata sistemazione dei crediti vantati verso Farina, pari a 7 miliardi, e tanti saluti al petroliere. “Il parto è finalmente avvenuto“, annunciò Paolo Berlusconi alla Rosea, intimamente convinto di assumere la presidenza del prestigioso nuovo arrivato: ma fratellini si nasce. Da quella pagina storica, invece, emerse subito un nome tra quelli dei cavalieri che fecero l’impresa: Adriano Galliani, 41enne manager del Gruppo, già vicepresidente del Monza, suo il primo virgolettato di sempre dell’Ac Milan 1986: “Sì, adesso è fatta“. Non sembrava vero. In una notte, passare dalla speranza di non vedere la propria squadra in un’aula di tribunale alle liste carta e matita dei campioni che si sarebbero dovuti/potuti comprare. Una specie di squarcio di luce abbagliante, dietro la curva cieca, la discesa morbida, l’orizzonte bellissimo.

Berlusconi 1986

In realtà mancava il trasferimento materiale delle azioni da Nardi ai Fininvestini: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, dice spesso il primissimo allenatore contattato da Berlusconi per la ricostruzione rossonera, e il gatto entra nel sacco il giovedì della settimana seguente, 20 febbraio, data vera, autentica dell’inizio di un’era, quella di Silvio I comincia lì. Stretta la mano di Nardi, tutta la banda dei nuovi padroni festeggerà al ristorante: da domani si parte. E quel domani è ancora lì, 30 anni dopo, con dietro le spalle un fracco di roba, però. Buona e cattiva. Molto, molto più buona che cattiva. Sabato sarebbe bello vedere il Pres a Milanello: trenta candeline, una torta, buoni sentimenti, un po’ di autocelebrazione non certo difficile per lui. E Galliani, chissà, potrebbe dare un altro bel virgolettato. Così, per chiudere un cerchio.

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