Lollo fra i giganti della Bombonera: il racconto di Bentancur

Quando passeggi per Rosario, in quel clima unico del centro Argentina, si respira calcio ad ogni angolo, ad ogni incrocio, in ogni barrio. Lì il mondo è diviso in due e non sono contemplate altre teorie: o sei del Newell’s, o sei Central; o sei Leproso, o sei Canalla. Gli anziani, seduti ad osservare i varón giocare per strada, sono la grande coscienza e conoscenza del fútbol albiceleste. Fermandosi a chiacchierare con loro, inizieranno i racconti con los gringos del ’78, spazieranno a Maradona e Valdano, Sensini e Batistuta, si soffermeranno poi sulle stelle nate sotto i loro occhi nel giro di qualche anno (Messi ’87, Di Maria ’88, Banega ’88, Maxi Rodriguez ’81, Musacchio ’90, Icardi ’93, Garay, Ansaldi e molti altri), infine, quasi tristemente, in maniera del tutto rassegnata ma in piena onestà, sposteranno il loro sguardo all’orizzonte, ideologicamente circa 300km più in là, Buenos Aires, casa Boca Juniors, e con un filo di voce, rauca dalle sigarette, affermeranno: “Il futuro è là, da quei maledetti degli Xeinezes. E tra i tanti, uno si chiama Bentancur…”. Nessun biglietto da visita è migliore di una onesta ammissione di superiorità, da parte di un orgoglioso rosarino, per un ragazzo non del dipartimento.

Poste le dovute premesse, la nostra storia inizia sull’altra sponda del Rio de la Plata, versante uruguaiano. Il 25 giugno del 1997, a Colonia del Sacramento, nasce Rodrigo. A differenza dalla classica narrazione sudamericana, Lollo vive un’infanzia serena, quegli anni senza preoccupazioni in cui la vita sembra facile: svegliarsi, colazione, scuola, rientro a casa, compiti e poi fuori in strada, ad inseguire un pallone, con gli amici. El Pollo, così lo soprannominavano nel pueblo, toccava la palla talmente bene che suo padre, una sera, ne rimase folgorato. Troppo cristallino quel talento per continuare nel modesto Artesano, club di cui Bentancur sr. era il presidente; troppo vicino il sogno Boca (aldilà del fiume) per non provarci. Sì, ma come? I 31 volte campioni d’Argentina non rispondono agli avvisi e alle chiamate, disperato, Roberto rialza il telefono, alla cornetta c’è il suo miglior amico Daniel Fernández: “Hermano, vieni al campo. Voglio che tu tenga un corso ai ragazzi, e fai il possibile per avere ospite il signor Horacio”. Horacio, al secolo, è il professor Anselmi, dottore del Boca, ma non della squadra di calcio. In qualche modo, arriva il primo contatto tra il talento e gli azul y oro.

Dire che fu amore a prima vista risulta decisamente riduttivo. Inizialmente Rodrigo era spaventato a morte da una figura così autoritaria, ma il profe no, rimase entusiasta di quel ragazzino gracile che dribblava i barattoli. Nonostante si occupasse di tutt’altro, Horacio ne riconobbe il talento e si impegnò in prima persona: in due mesi, il 12enne entrò definitivamente nel mondo dei suoi sogni, fino alla chiamata definitiva. “Vogliamo suo figlio in squadra, trasferimento a Buenos Aires, tutto pagato, vivrà in collegio con i pari età, lo seguiremo in tutta la fase dell’educazione. Si fidi signor Roberto, sarà una stella”, impossibile rifiutare. Valicato il Rio, Rodrigo iniziò la sua carriera, bruciando ogni tappa. Cruciale fu una sfida contro il Quilmes tra le riserve: il ragazzo brillò in mezzo al campo, sugli spalti Arruabarrena, allora tecnico della prima squadra, decise che era abbastanza, il tempo era maturo, lo aspettavano i grandi. Dal ragazzino con le gambe che tremavano contro Velez e River, Rodrigo ha saputo trasformarsi in un centrocampista moderno, regista dal fisico importante (1.86) ed ambidestro. Fin dalla nascita nel cuore del gioco, il classe ’97 sa interpretare senza grattacapi anche i due ruoli da mezzala, grazie agli ottimi tempi di gioco e la capacità di inserimento.

BentancurPerno fondamentale nell’accoppiata vincente campionato e Copa Argentina (2014/15), Bentancur è ora pronto per spiccare il volo ed atterrare a Milano, in un Diavolo estremamente bisognoso di qualità. Dai tamburi della Bombonera ai cori della Curva Sud, Rodrigo non ha paura delle sfide. Rimanendo sempre quel pibe che dribblava i barattoli.

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